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Quando nel 1947 Aldo Cima, direttore del Liceo Musicale “Lettimi”, propose di intitolare il teatro, già dedicato a Vittorio Emanuele II, ad Amintore Galli, la giunta e il consiglio comunale all’unanimità approvarono l’iniziativa con inaspettata celerità. Nell’arco di un mese il rudere di quello che era una delle glorie cittadine e vero tempio della musica, aveva un nuovo nome.

Così Galli, a cento anni dalla sua morte, avvenuta l’8 dicembre 1919, gode di una strana notorietà: tutti sanno che gli è dedicato il teatro ma pochi conoscono chi era e ancor meno il perché;  per il comune cittadino egli resta un illustre sconosciuto, complice anche il fatto che mai è stata suonata una sua nota dalla ricostruzione dell’edificio polettiano.

In realtà Galli è stato un grande musicologo più che un musicista di fama duratura: rispettato e temuto critico musicale de Il Secolo, il quotidiano più diffuso nell’Italia di fine Ottocento, aveva un eccellente orecchio per riconoscere talenti e opere di valore. Chi ama la Carmen, la Cavalleria Rusticana, l’Andrea Chenier, I Pagliacci dovrebbe ringraziarlo continuamente perché fu per merito di Galli che queste opere, insieme a tante altre, ebbero diffusione in Italia.

Ma non fu certo per questo che il comune, con in testa il sindaco comunista Cesare Bianchini, nel 1947 volle intitolargli il teatro: nell’epoca della guerra fredda, la vera ragione era celebrare l’autore della musica del Canto (o Inno) dei Lavoratori, composto nel 1886 e divenuto nell’arco di vent’anni il brano più diffuso nelle classi popolari.

Nato nel 1845 a Perticara, all’epoca “appodiato” di Talamello, e indirizzato alla musica dallo zio Pio direttore della banda, Galli venne giovinetto a Rimini per poi recarsi a Milano a studiare; a soli diciannove anni rappresentò nel teatro riminese, con grande successo, un primo componimento, Cesare al Rubicone, come il tema del sipario del Coghetti. Diplomatosi nel 1867 al conservatorio, il musicista, che ardeva per la conquista della città eterna, ebbe un primo incidente con il potere politico, subendo il divieto di rappresentare un lavoro teatrale, Roma, a causa delle tensioni per la questione romana.

Divenuto docente del Conservatorio di Milano, acquisì una grande notorietà come insegnante, storico e teorico di estetica musicale, nonché come direttore di riviste musicali della Sonzogno.

Nel 1886 nacque il fatidico Canto dei lavoratori: molto si è scritto sull’origine di questo diffusissimo componimento; sicuramente Galli aveva dato ad un testo di Filippo Turati dal non eccelso valore letterario (lo stesso Turati dirà: “dovevano condannarmi a morte per incitamento al delitto contro la Poesia!”) una musica di grande orecchiabilità, di facile memorizzazione e di sapore bandistico, facendone la sua fortuna. In un’epoca dove le classi subalterne erano spesso composte da analfabeti, il canto rappresentava un potente mezzo propagandistico.

Su queste colonne nel 1969 Luigi Pasquini commemorava il cinquantesimo anniversario della morte di Galli con un brillante articolo, non esente tuttavia da inesattezze; fra l’altro lo definì cattolico praticante in contrapposizione a Turati, ateo. In realtà all’epoca della composizione della musica il Maestro aveva probabilmente sentimenti risorgimentali: aveva combattuto con Garibaldi a Bezzecca e scriveva sul giornale dei radicali, Il Secolo appunto.

Inoltre secondo Pasquini, riportando un simpatico dialogo alla Guareschi ma verosimilmente inventato, Turati avrebbe insistito perché Galli musicasse il canto; in realtà fu Costantino Lazzari che ebbe l’idea di rivolgersi al Nostro il quale accettò che si utilizzasse un suo brano composto per altri fini, purché non comparisse il suo nome per non irritare gli amici radicali.

L’Inno dei lavoratori fu malvisto dalle classi di governo, soprattutto nel periodo di Crispi: veniva condannato ad almeno 75 giorni di reclusione e a una multa di 100 lire (somma molto elevata per quegli anni) chi solamente si azzardava a cantare in pubblico il componimento; i processi furono talmente numerosi che Turati (che pure subì una dura condanna) sotto pseudonimo scrisse una lettera aperta al Procuratore del Re: “MEZZO MILIONE DI REATI ad istigazione di un uomo solo”.

E così la paternità del brano dovette essere tenuta nascosta: solo la polizia conosceva chi era il vero autore della musica e lo teneva sotto osservazione; il giornale Avanti! svelò il mistero al pubblico nel 1909, quando il Maestro era di ritorno a Rimini.

Galli in realtà sperava che la sua gloria derivasse da ben più elevati componimenti: in particolare da quell’opera lirica, il David, che ebbe recensioni favorevoli e fu rappresentata nel 1907 anche nella nostra città ma che fu presto dimenticata, provocando un forte senso di amarezza nel musicista. Nonostante la fama di conservatore, attribuitagli da molti frettolosamente, la sua nuova opera Follia Tragica del 1910 fu proibita per il messaggio di ribellione alle convenzioni sociali.

Il Maestro trascorse malinconicamente gli ultimi anni nella nostra città, tuttavia ebbe un ultimo sussulto nel 1918: di indole pacifica, accolse con favore la fine della prima guerra mondiale componendo la Missa pacis, eseguita dall’allievo Massari nel 1919 e, per merito di Gianandrea Polazzi, musicata nuovamente nel 2011 in cattedrale.

Galli sembrava dimenticato in fretta, soprattutto durante il fascismo che aveva proibito l’Inno del lavoratori: ma, per gli strani casi della vita, egli è più famoso ora, a 100 anni dalla morte. Attendiamo ora che nel teatro a lui intitolato si senta finalmente suonare la sua musica.