80 anni fa Rimini divenne “una città morta”. Alcune questioni relative agli attacchi aerei alla nostra città e sull’atteggiamento psicologico dei Riminesi non sono ancora del tutto esaminate approfonditamente
Il racconto molto coinvolgente di Guido Zangheri, a distanza di 80 anni dagli eventi, in merito alla morte della mamma e alla sua fortuita sopravvivenza nell’infernale bombardamento del 28 dicembre 1943, ci induce a riflettere su alcuni aspetti di tali azioni belliche. Rimandiamo al precedente articolo su questa rivista la descrizione delle distruzioni avvenute nel corso degli ultimi due mesi del 19431 per concentrarci ora su due importanti aspetti di tali gravissimi eventi per la nostra città.
La prima consueta domanda che viene posta quando si tratta questo argomento è il motivo per cui Rimini ebbe quasi 400 bombardamenti tra il 1 novembre 1943 e la sua liberazione. In verità sebbene tanti storici locali ne abbiamo trattato e anche descritto alcune tra le motivazioni, restano sempre non ben esaminate le varie fasi e le varie strategie che gli Alleati ebbero. Pur nell’ambito sommario di un articolo e pur considerando non semplici queste catalogazioni, ritengo che sarebbe innanzitutto opportuno distinguere i bombardamenti strategici, effettuati su larga scala da quelli tattici sulle zone vicine ai fronti di guerra. Dopodiché si possono identificare quattro principali periodi con diverse finalità del lancio di bombe sull’Italia, di cui tre interessarono in modo così pesante Rimini, considerata la città più bombardata d’Italia durante la Seconda Guerra Mondiale.
La prima fase, fino alla caduta del fascismo, era sostanzialmente un fatto bellico che mirava alla distruzione di importanti infrastrutture per rendere difficile la guerra all’Italia o a demoralizzare la popolazione e rivolgerla contro il fascismo, responsabile dell’attacco, ritenuto vigliacco, nel 1940 ad una Francia in procinto di arrendersi e a un’Inghilterra rimasta sola a combattere2. Questa fase terminò con l’armistizio italiano dell’8 settembre 1943, quando l’obiettivo sembrò essere raggiunto.
Tuttavia la pronta reazione tedesca con l’occupazione dell’Italia e l’instaurazione della Repubblica Sociale con a capo ancora Mussolini pose gli Alleati nuovamente di fronte allo stesso problema precedente, anche se solo verso l’Italia settentrionale e centrale. Questa volta però gli aeroporti di decollo erano in terra italiana, prevalentemente in Puglia e gli aeroplani cominciavano, grazie all’organizzazione produttiva statunitense, a essere talmente numerosi da costituire formazioni di centinaia di esemplari con grandi portate di ordigni. Sebbene gli Inglesi volessero ancora dare una motivazione politica alle azioni, compiendo più brutalmente area bombings cioè bombardamenti a tappeto, gli Americani, con la costituzione della 15th Air Force, elaborarono una strategia più mirata alla distruzione della capacità bellica nemica, descrivendo i loro attacchi come precisi e mirati. Si trattava in realtà di propaganda bellica, tesa anche a tranquillizzare la pubblica opinione statunitense – formata da tanti italo americani – che per di più non aveva subito bombardamenti al contrario della popolazione britannica e quindi meno adirata verso il nostro paese. Sorse quindi l’organizzazione scientifica dei bombardamenti con obiettivi primari e secondari, da colpire qualora fosse impossibile giungere ai primi. Rimini fu pesantemente coinvolta proprio da questo gruppo di attacchi e la distruzione del 28 dicembre 1943 avvenne a causa del maltempo che impediva lo sgancio delle bombe sugli obiettivi primari.
La terza fase nacque in concomitanza con la decisione dell’alto comando alleato di trovare nuovi mezzi per stroncare la difesa tedesca sulla linea Gustav, linea che resisteva nonostante lo sbarco ad Anzio. Fu concepita l’operazione “Strangle”, protrattasi dal marzo 1944 alla caduta di Roma il 4 giugno, per ridurre il flusso di rifornimenti nemici al di sotto del fabbisogno attaccando il sistema di approvvigionamento. I bombardieri medi e i cacciabombardieri attaccarono i ponti chiave delle poche linee di rifornimento ferroviario dall’Italia settentrionale al fronte: ciò signi昀椀cava che nessun treno poteva circolare dalla Pianura Padana alla linea del fronte e che a sud di Firenze quasi tutti i rifornimenti dovevano essere trasportati su autocarri che operavano solo di notte3.
La quarta fase si ebbe quando le truppe Alleate si avvicinarono alla seconda grande linea difensiva approntata dai tedeschi per fermare l’avanzata nemica, la cosiddetta Linea Gotica: questa volta non fu più tanto il caso di massicci bombardamenti aerei a tappeto ma di un continuo martellamento delle difese che si stavano predisponendo per indebolirle in vista dei futuri attacchi. L’intensità fu differente: se all’inizio i bombardamenti erano imponenti e 昀椀nalizzati alla distruzione di opere difensive, una volta lanciata l’offensiva, le esplosioni di ordigni erano continue e così frequenti da risultare indistinguibili, come riporta qualche mese dopo una relazione del sindaco Clari a liberazione avvenuta: nel solo mese di settembre, prima del 21 «sono stati segnalati circa 138 bombardamenti aerei dei quali è stato impossibile registrare l’ora, data la quotidiana ininterrotta frequenza». Era uno stillicidio quotidiano di aerei, anche caccia, che mitragliavano soldati e sganciavano bombe su ogni infrastruttura rimasta integra o su ogni manufatto che potesse rappresentare un elemento di difesa.
Un’altra questione che non pare sufficientemente sondata è l’atteggiamento psicologico dei Riminesi nei confronti dei bombardamenti e delle conseguenti distruzioni. Le testimonianze a caldo sono del tutto scarse, riassumibili nelle relazioni del commissario straordinario Ugo Ughi al capo della Provincia, che risultano tuttavia, a questo proposito, in gran parte inattendibili per la volontà di voler riaffermare la fedeltà alla Repubblica Sociale. Si è detto in ‘gran parte’ perché dalle stesse relazioni traspare un certa freddezza verso l’efficacia della propaganda fascista nel criminalizzare le devastazioni dei bombardamenti.
A livello generale qualche elemento si può cogliere dall’intelligence alleata, che emerge ad esempio in un memorandum del ministro degli esteri britannico Anthony Eden: «Uno degli aspetti più sorprendenti rispetto allo stato dei sentimenti in Italia è la relativa assenza di ostilità nei confronti dei britannici e degli americani. Questo atteggiamento non sembra esser stato seriamente intaccato dai recenti pesanti attacchi aerei sulle città italiane, e i tentativi della propaganda italiana di capitalizzare sulle vittime civili […] sembrano esser stati inefficaci»4. Del resto gli Inglesi avevano buon gioco a dimostrare che «il bombardamento della popolazione civile è una teoria fascista uf昀椀ciale» in quanto elaborata proprio da un generale italiano, Giulio Douhet, tanto che ironicamente, dissero che le sue teorie «si erano ritorte contro l’Italia»5.
Le testimonianze raccolte sono successive anche di molti anni agli eventi e quindi viziate da ricordi non sempre fedeli, e spesso le stesse si soffermano sugli effetti materiali dei bombardamenti, senza invece interrogarsi su quali fossero i sentimenti delle persone sottoposte agli attacchi aerei. Ho indagato in questo senso su persone che conoscevo e generalmente ho trovato sentimenti misti: fondamentalmente dominava la paura ma non vi era tanto rancore o odio verso gli aeroplani quanto risentimento verso chi aveva portato l’Italia verso questo disastro. Si operava una sorta di ragionamento per cui vi era ardente il desiderio che guerra, penuria, morti, fame, requisizioni causati dai nazifascisti cessassero: e perché ciò avvenisse dovevano vincere prima possibile gli Alleati.
La stessa considerazione è espressa peraltro nelle sue memorie dal generale tedesco Heinrich Von Vietinghoff-Scheel, comandante della X armata che presidiava il fronte orientale della Linea Gotica e quindi Rimini. Percepii questi sentimenti per esempio da Claudio Marabini, critico letterario de «Il Resto del Carlino», sfollato nelle campagne faentine, il quale mi disse che ogni giorno ascoltava la radio con la speranza di sentire che gli Alleati avevano sfondato la linea Gotica cosicchè sarebbe 昀椀nita quella immane tortura della guerra e dei bombardamenti; mi confessò però la sua quotidiana frustrazione quando capiva che ogni piccolo fiume o torrente della Romagna stava rallentando l’agognata liberazione. Del resto Luigi Pasquini scrisse che con la partenza dei Tedeschi «sarebbero scomparsi i bombardieri inglesi: i cieli, liberi, sarebbero tornati al loro santo azzurro italiano, che ognuno avrebbe potuto mirare». In fondo lo stesso Mussolini, colui che aveva governato l’Italia per un ventennio, avrebbe detto: «il popolo italiano nelle sue masse, è accecato da una mai vista nella sua storia follia collettiva, è la vittima che predilige il carnefice! è il bombardato che benedice il bombardiere!»6.
In verità sempre di più l’opinione pubblica riteneva che la responsabilità risalisse a chi aveva voluto la guerra. Quando il re Vittorio Emanuele III, visitò le rovine dopo il bombardamento di Roma nel luglio 1943, un collaboratore notò che, incolpando il monarca delle distruzioni, «la popolazione è muta, ostile, attraversiamo lacrime e un silenzio gelido»7.
Ritengo che tutto ciò avvenisse anche per l’azione della Resistenza da un punto di vista morale e psicologico: uomini appartenenti a tutti i partiti politici antifascisti parlavano, discutevano e mentre lavoravano diffondevano le idee per un nuovo avvenire. Indirettamente ciò è confermato anche dal generale Von Vietinghoff che nella sue memorie riteneva che le idee della Resistenza contro il fascismo più che l’impegno militare avessero costituito una grave minaccia per i Tedeschi.
La continua insistenza che gli Alleati avrebbero riparato ciò che distruggevano, che avrebbe sfamato gli affamati (come stava succedendo nell’Italia del duce), che avrebbero ridato la democrazia ai sudditi di una dittatura era più forte della propaganda fascista. Erano, per i Riminesi, liberatori e non conquistatori.
Note
1 A. Montemaggi Le prime bombe su Rimini, «Ariminum» marzo aprile 2020, pp.9-11.
2 Ad esempio l’afflusso dei rifornimenti da inviare in Africa Settentrionale motivò il primo grande bombardamento su una città italiana, Genova, nell’ottobre 1942; nello stesso tempo con ciò gli Alleati intendevano dimostrare che il duce non era in grado di difendere il proprio Paese. C’era poi una differenza sfumata tra Inglesi e Americani: i primi, molto duramente, volevano ricordare che la guerra era stata causata da Mussolini e che la popolazione si doveva disfare del dittatore se voleva la pace; i secondi solleticavano il senso di revanche contro i Tedeschi stimolando un totale passaggio di campo dalla parte degli ormai palesi vincitori.
3 Per realizzare questo piano, nell’arco di 12 settimane fu impiegato uno sforzo aereo di dimensioni mai viste prima. Come risultato, la capacità del sistema di rifornimento nemico fu ridotta da 80.000 tonnellate al giorno a non più di 4.000 tonnellate al giorno consegnate al fronte.
4 Memorandum del ministro degli esteri Eden, 24 aprile 1943 in C. Baldoli I bombardamenti sull’Italia nella Seconda Guerra Mondiale. Strategia angloamericana e propaganda rivolta alla popolazione civile, in DEP (Deportate, esuli, profughe) n.13-14 / 2010 p. 19.
5 R. Overy. The bombers and the bombed. The ultimate history of the Allied bombing campaigns in World War II, Penguin Publishing Group, 2015. Letteralmente in verità l’espressione è «Douhet came home to roost» non traducibile esattamente in Italiano.
6 B. Mussolini, A Clara. Tutte le lettere a Clara Petacci 1943-1945, Mondadori, Milano 2011, p. 99 (lettera del 24/1/1944).
7 M. Fincardi, Gli italiani e l’attesa di un bombardamento della capitale (1940– 1943), in N. Labanca (a cura di), I bombardamenti aerei sull’Italia. Politica, Stato e società (1939-1945), Il Mulino, Bologna, 2012, p. 239.
Ariminum, novembre dicembre 2023