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Il 5 gennaio 2020 è il centesimo anniversario di un misterioso progetto di “marcia su Roma” che ha un legame con la nostra città, nella persona del riminese Giuseppe “Capitan” Giulietti.

Chi procede per la Destra del Porto e arriva fino al molo di Levante vedrà sicuramente sulla sinistra (o destra se sulla pista ciclabile) una statua di Giulietti; poi noterà che il molo stesso è dedicato sempre a questo personaggio, nato a Rimini nel 1879.

Carismatico, energico ed indiscusso leader dei marittimi in un lungo periodo denso di avvenimenti cruciali per la storia d’Italia, egli ricoprì la carica di segretario della Federazione Italiana Lavoratori del Mare dal 1909 alla morte avvenuta nel 1953, eccettuata la parentesi fascista.

Il ruolo chiave della navigazione per il nostro paese rendeva particolarmente importante la gente di mare, sia nel trasporto di persone a causa degli enormi flussi migratori verso le Americhe, sia nel trasporto di merci, per la dipendenza dell’Italia dalle importazioni e dalle esportazioni.

Dotato di una retorica molto affascinante per l’epoca, precursore in ciò di D’Annunzio e Mussolini, Giulietti seppe divulgare teorie sociali di grande effetto a marinai spesso analfabeti che avevano cominciato a imbarcarsi a 8 anni; nello stesso tempo raggiunse obiettivi concreti che in pochi anni migliorarono le condizioni di vita del marittimi come mai era successo per secoli.

Giovanni Ansaldo (1924), in un famoso pamphlet scritto per Gobetti, così apostrofò Giulietti: “Dall’alto del ponte, egli ebbe i suoi colloqui con le ciurme, prima, oh, assai prima che D’Annunzio a Fiume inventasse le parlate alla ringhiera, e Mussolini rifacesse la tattica oratoria dannunziana, come un maestro di scuola può rifarla ad uso di una folla di mangiapagnotte. Anche nella eloquenza, egli fu un precursore dell’Italia novissima”.

Pur essendo socialista, nel 1914 il sindacalista riminese divenne subito interventista e per De Felice fu tra coloro che convinsero il direttore dell’Avanti! Benito Mussolini a fondare il nuovo giornale “Il Popolo d’Italia” garantendolo con fidejussioni. La vittoria italiana nella Grande Guerra premiò l’atteggiamento pragmatico del leader sindacale: infatti dall’interventismo e dal suo impegno politico in ambito governativo, Giulietti ebbe notevoli vantaggi, a differenza delle altre organizzazioni che avevano osteggiato la guerra.

Ma il fatto nuovo che scosse violentemente la società italiana fu la cosiddetta “impresa di Fiume” condotta nel settembre del 1919 da Gabriele D’Annunzio: Giulietti vide nell’atto del poeta l’occasione per l’istituzione di uno stato certamente nazionalista ma anche pervaso da ideologie rivoluzionarie e promotore di istanze e valori cari al popolo della sinistra italiana, in fondo in modo non dissimile da come lo avrebbe giudicato lo stesso Lenin.

La prima concreta mossa del segretario della F.I.L.M. fu l’invio dell’importo di £. 50.000 nella sottoscrizione promossa da Il Popolo d’Italia fin dal 20 settembre 1919.

Tra tutte le manifestazioni di consenso e di appoggio all’impresa dannunziana, il dirottamento, da parte di emissari di Giulietti, del Persia, piroscafo di medio tonnellaggio carico di armi, diretto in Cina ma costretto ad approdare a Fiume, fu probabilmente l’atto più spregiudicato: il successo diede a D’Annunzio l’idea di azioni di più vasto respiro.

Nel frattempo il sindacalista aveva fondato un partito e nelle elezioni del 15 novembre 1919 venne eletto deputato ma ciò non lo distoglierà dai suoi propositi rivoluzionari: egli infatti progettò alla fine del 1919 una marcia su Roma da compiersi con i legionari fiumani e l’appoggio dei socialisti e degli anarchici.

Secondo le sue intenzioni, i marittimi federati avrebbero assunto il controllo di navi per sbarcare i legionari fiumani nella zona di Ancona e il dirottamento del Persia con i suoi armamenti era stato funzionale al progetto.

Nel frattempo, per guadagnare alla causa la sinistra ed in particolare gli anarchici, aveva, con vari stratagemmi, aveva propiziato il rientro dall’esilio del loro leader Errico Malatesta.

Il 5 gennaio 1920 Giulietti scrisse una lettera a D’Annunzio in cui esponeva il proprio progetto:

“a) balzo su Roma, partendo da Fiume; b) risoluzione del problema adriatico, compresa l’annessione di Fiume all’Italia; c) instaurazione di un nuovo ordine, risolutore della questione sociale, assicurante ad ognuno il frutto della propria opera, e il necessario per vivere a chi è invalido, o non atto al lavoro, o ammalato, o disoccupato […] d) vincere le eventuali resistenze del partito socialista, senza del quale reputo inattuabile il progetto; e) ottenuta l’adesione del partito socialista, la cosa sarà di facile attuazione, e la Federazione Marinara metterà a disposizione tutte le sue forze sociali e finanziarie.”

La risposta di D’Annunzio fu immediata (h 3,25 del 6 gennaio 1920) e favorevolissima, godendo pure dell’approvazione del suo nuovo capo di Gabinetto, Alceste De Ambris.

Giulietti, insieme a Malatesta, si affrettò qualche giorno dopo a incontrare a Roma gli ultimi attori del piano, i socialisti ed in particolare gli esponenti più significativi, Bombacci e Serrati: era l’ultimo tassello di un grande disegno strategico elaborato da Giulietti, un’alleanza tra dannunziani, anarchici, socialisti e fascisti per la conquista dello Stato.

La riunione con gli esponenti socialisti ebbe invece esito negativo, come si appurò dalle versioni fornite successivamente da Giulietti, da Malatesta e da Bombacci; comunque è certo che fu principalmente Serrati l’oppositore del progetto. Molto più tardi, nel 1942, Bombacci scrisse una lettera dove confermava la sua approvazione al progetto e l’atteggiamento negativo di Serrati, “che poi si fece scudo di questa mia adesione per allontanarmi in una forma ipocrita da Segretario del Partito Socialista Italiano”.

Il progetto dovette essere abbandonato in quanto Giulietti riteneva che senza l’adesione del partito socialista sarebbe stato inattuabile; la Federazione, che aveva predisposto al largo di Ancona tre bastimenti carichi di armi, dovette fingere di sbarcare carbone.

Mussolini aveva già proposto un colpo di Stato fin dal settembre 1919 e non poteva tollerare una marcia su Roma senza che ne fosse in qualche modo protagonista. Perciò dapprima orgogliosamente dichiarò di aver ripetutamente sconsigliato D’Annunzio da molto tempo un tentativo del genere. Poi derise il tentativo in un articolo su “Il Popolo d’Italia” del 17 febbraio 1920. Scrisse Eno Macheri, legionario e fascista della prima ora: “La verità è che [Mussolini] – sentendosi forse predestinato ad un ruolo di primo piano – non voleva che D’Annunzio divenisse il capo della Nazione eclissando così ogni sua possibilità futura”.

Altri esponenti della sinistra erano invece favorevoli. Emilio Lussu era propenso all’azione: secondo lui infatti gli ex combattenti erano tutti dei socialisti potenziali che avevano maturato una concezione internazionalista in trincea.

Anche i Comunisti erano ben disposti verso l’azione e deplorarono Serrati: Gramsci diede un giudizio pesantemente negativo dell’atteggiamento dei socialisti durante l’episodio di Fiume.

Lenin apparve favorevole: la III internazionale successivamente criticò infatti Serrati per non aver colto un’occasione per la rivoluzione.