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La “pazza” idea del Santamonica rock festival
Nel luglio 1974 nell’autodromo si doveva svolgere una grande kermesse
musicale per giovani, vietata all’ultimo momento

Negli anni della Rimini felix, mentre molti albergatori organizzavano in campagna festicciole per i clienti a base di piada, vino e liscio, i giovani1 si rivolgevano a quella che Eugenio Finardi chiamò «la musica ribelle», principalmente al rock, che era in quel momento al suo massimo fulgore: bands generalmente inglesi come Pink Floyd, Emerson Lake and Palmer, Genesis e Deep Purple facevano vibrare la pelle molto di più della mazurka e del valzer nostrano, considerati musica sorpassata, da «matusa» (abbreviativo di Matusalemme per indicare una notevole età) come si diceva all’epoca per intendere l’attuale boomer.

A qualcuno venne perciò in mente di ripensare allo storico happening di Woodstock del 1969, propagandato come «tre giorni di pace e musica rock» a cui pare abbiano partecipato circa 500.000 spettatori. Ma era ancora più recente il ricordo del festival dell’Isola di Wight del 1970, che ebbe una quantità strabiliante di spettatori: si parlava di quasi 600.000. David Zard, giovane imprenditore dello spettacolo e destinato a grandi successi, dall’intuito infallibile, capì invece che era il momento giusto per creare anche in Italia un evento internazionale con artisti di fama mondiale, insieme però a tanti italiani, in una quattro giorni di piena musica, un’occasione imperdibile per i giovani. Ci voleva coraggio: il rock in Italia era sottovalutato, i teen agers erano snobbati e ancora veniva proposta quella musica giudicata da loro, direi anzi da noi visto che facevo parte di quella generazione, assolutamente demodè e inascoltabile. A parte qualche giornalista più perspicace come Mario Luzzatto Fegiz2, sembrava sui mass media che la musica inglese si fosse fermata ai Beatles e ai Rolling Stones. Il luogo scelto si prestava benissimo: l’autodromo di Santamonica, con la sua ampiezza e le sue recinzioni, sembrava ideale per accogliere, con un certo margine di controllo, le masse che ci si aspettava arrivassero. L’evento era stato ampiamente pubblicizzato dalla rivista cult dei giovani, «Ciao 2001», addirittura indicando gli ingressi e i costi dei biglietti (£ 5.500 per l’intero evento era un prezzo popolare: a «L’Altro Mondo», discoteca à la page, una serata con Gino Bramieri costava £. 5000, cifra che venne poi dimezzata per la scarsità di clienti) .

Nel panorama musicale del rock, che stava vivendo in quel momento l’apice del suo successo Zard aveva avuto l’abilità di ingaggiare nomi notissimi come i Deep Purple, Rod Stewart, Lou Reed e, per restare in Italia, Banco del Mutuo Soccorso ed Edoardo Bennato. Tutto prometteva bene, però… chi erano questi giovani? I benpensanti pensarono subito ad adepti del malvagio trio «sesso, droga e rock», icastica locuzione coniata da «Life» nel 1969 segnalandola come controcultura. La paura si diffuse e si formò una grande coalizione di politici, albergatori, residenti nella zona, una santa alleanza per bloccare un evento che avrebbe «tradito» la vocazione turistica familiare del territorio. Prevalse il timore che questi ragazzi, arrivati da chissà dove, calassero come gli Unni di Attila e non facessero più crescere l’erba al loro passaggio. I giovani erano invariabilmente hippies dediti al consumo di stupefacenti e all’amore libero, in una società che solo da poco aveva ammesso il divorzio.

Perciò il 18 luglio 1974, quando mancavano pochi giorni all’inizio della kermesse, il questore di Forlì emise il divieto di svolgimento. Come appare da un articolo su «La Stampa» del 20 luglio3, ufficialmente il divieto era dovuto al fatto che l’autodromo era «agibile» solo per gare motociclistiche. In verità nessuno credeva a questa spiegazione, a cominciare da Edda Montemaggi la giornalista che interpellò le associazioni di categorie: i giovani già arrivati «sono come cavallette. Abbiamo chiesto alle autorità di liberarci da loro nel timore di quello che potrebbe succedere se si permettesse il festival rock che ne attirerebbe qui migliaia». Alla intervistatrice Zard e il suo storico socio Sanavio dissero invece: «Questi benedetti albergatori e commercianti e queste autorità. Conosciamo la Riviera e sappiamo che ogni anno, come qualsiasi altra località marittima, essa diventa la sede dei capelloni di tutt’Italia. […] Però adesso si è finalmente trovato il colpevole: il festival rock di Santamonica. Ed ecco il grido dei benpensanti: ‘Dagli all’untore’. Ma non ci stiamo Perché ce l’hanno con noi? Quale mistero c’è sotto?»4. L’articolo prosegue: «Zard è un bel giovane, barbuto. Di origine israeliana vorrebbe portare un festival rock in Israele, chiamarlo «festival della pace» e invitarvi ebrei e israeliani. ‘Ma sogno forse’, dice». Concluse: «Le proteste più vibrate sono state fatte dai presidenti degli enti pubblici, quasi tutti comunisti. Ma noi siamo apolitici».

In effetti presso il Comune di Riccione, il presidente del Circondario riminese Francesco Alici, alla presenza dei Sindaci e il Presidente dell’Azienda di soggiorno di Rimini, Riccione, Misano e Cattolica» il 19 luglio 1974 emise un comunicato: «si concorda con il provvedimento dello autorità governativa»5. L’assessore regionale Walter Ceccaroni precisò, con un’altra spiegazione che ci appare ancora più pretestuosa, al limite del ridicolo: «La stessa natura fisica della riviera romagnola, la sua organizzazione territoriale, non presenta alcun punto idoneo a raccogliere manifestazioni del genere. Si aggiunga l’attività turistica in pieno svolgimento, e si avrà un quadro esatto della impossibilità di ospitare il festival annunciato»6. Il «Corriere della Sera» inviò Mario Luzzatto Fegiz che non mancò di osservare che «a problemi di ordine pubblico assai vistosi ha dato luogo il calcio: […] eppure a nessuno è mai venuto in mente di vietare una partita che si preannunciava calda». E, considerando il disinteresse per i teen agers, commentò con sarcasmo che si può «venire incontro alle loro istanze con qualche bel telefilm della serie Rin tin tin ottava replica»7. Il giornalista nei suoi servizi ricordò che il questore di Forlì aveva dato un’autorizzazione di massima già da maggio; intervistò il presidente dell’Azienda di Soggiorno di Misano, soddisfatto perché l’iniziativa aveva dato comunque pubblicità alla località (!) anche se non riusciva ad abituarsi all’aspetto dei capelloni (eppure già dal 1966 i Nomadi cantavano «Come potete condannar / Chi vi credete che noi siam / Per i capelli che portiam»8) e appurò che erano stati soprattutto Rimini e Riccione ad opporsi al rock festival9.

L’inviato de «Il Resto del Carlino» era Italo Cucci, il quale il 22 luglio 1974 informò di un ricorso d’urgenza al pretore di Rimini, che tuttavia ipotizzava negativo, e di un ricorso anche al Prefetto di Forlì, che si rivelerà altrettanto sfavorevole. Cucci stesso il giorno successivo, alla pari degli altri corrispondenti, sorrise ai timori avanzati: «Il sospetto che coinvolge tutti i giovani appassionati di musica pop-rock diretti a Misano, è dovuto soltanto all’atteggiamento di pochi fra loro»10.

Ci fu qualche tafferuglio con i ragazzi accorsi per protestare contro la decisione delle autorità, la quale reagì alla Crispi o alla Scelba, piuttosto brutalmente: «Lo scontro ha avuto inizio verso le 17.30, quando circa seicento giovani si sono seduti tranquillamente sulla Statale Adriatica all’incrocio con via della Repubblica, proprio nel pieno centro di Misano. Subito è stato dato l’allarme e sono accorsi sul posto, con caschi a visiera e candelotti, carabinieri di Bologna e agenti della Celere di Senigallia. Poiché i giovani non si alzavano, è stato dato il segnale della carica, mentre una fitta sassaiola accoglieva le forze dell’ordine che hanno esploso alcuni candelotti lacrimogeni. […] Un candelotto colpiva la facciata del mobilifìcio Montebello, appiccando il fuoco alla lunga tettoia e ai tendaggi di plastica. Nel frattempo sono stati fermati sette giovani, subito condotti alla stazione dei carabinieri di Misano per essere interrogati. Si presume che alcuni verranno rilasciati, ma che alcuni di essi verranno arrestati per blocco stradale»11.

Stroncata così la civile protesta, i giovani tornarono a casa, delusi per una grande occasione mancata: come predisse Luzzatto Fegiz: «La realtà è che la riviera romagnola ha forse perso definitivamente l’occasione per il rock-festival degli anni Settanta». Un’analisi dell’evento abortito apparve circa un mese dopo su «La Stampa»12. Zard, che disse, forse esagerando, che ci rimise «400 milioni di lire, oggi circa 12 milioni di euro», in un’intervista del 17 ottobre 2013, considerò la vicenda «la più grande batosta da imprenditore rock, una grande idea andata in fumo»; aveva per un attimo pensato di rifarlo nel 40° anniversario, ma poi si era detto «chi te lo fa fare?».

In verità il concerto per i giovani era stato un grande sogno: in un mondo senza internet, dove le informazioni erano scarse e frammentarie e si riducevano spesso a chiacchiere presso il venerato negozio di dischi DIMAR in corso d’Augusto a Rimini, sentire e vedere dal vivo i grandi miti che erano pure pressoché banditi dalla RAI, rappresentava davvero un’occasione irripetibile, memorabile, il cui ricordo sarebbe rimasto per tutta la vita.

Personalmente avevo avuto anche io, insieme ad amici che coltivavano le stesse passioni musicali, il grande desiderio di partecipare e qualche dramma familiare sicuramente si sarebbe posto, con un padre fortemente critico e una madre giornalista che poteva parlare con gli organizzatori mentre io non avrei saputo nemmeno come arrivare a Santamonica e procurarmi i soldi del biglietto. Mi restò una copia del manifesto che lasciai per lungo tempo appeso in camera e la volontà di comprare i dischi di questi complessi, vinili che tuttora conservo.

C’era una profonda incomprensione generazionale: il potere politico locale, nonostante il ’68, era incapace di capire i nuovi fermenti di noi giovani, fermenti che avevano nella musica la principale manifestazione: studiavamo con passione l’Inglese per capire i testi, sentendo e risentendo dischi e cassette, spesso copie artigianali gratuite di bassa qualità, per cogliere il senso di quello che ascoltavamo. E non è un caso che pochi mesi dopo scoppiò il fenomeno delle radio libere che fecero la propria fortuna con la musica dei giovani.

Note

1 Ringrazio l’amica Alba Tamagnini che in una conversazione mi ha rammentato l’evento mancato e mi ha fatto ricordare che a quel tempo io ero uno di quei giovani desiderosi di parteciparvi, avidi di rock come peraltro lo sono tuttora.

2 Mario Luzzatto Fegiz, nato nel 1947, era stato arruolato nel 1971 nel «Corriere della Sera», da Giovanni Spadolini che aveva felicemente intuito la necessità di avere un critico musicale giovane per la musica dei giovani.

3 E. Montemaggi, Perché è stato vietato il Festival pop a Misano, «La Stampa», 20 luglio 1974, p.7; in verità Zard accusa anche l’Azienda di Soggiorno di Misano (Edda Montemaggi, Il festival rock cerca una sede?, «La Stampa», 23 luglio 1974, p.7).

4 David Zard anni dopo, ripercorrendo la vicenda, disse il 17 ottobre 2013 che le autorità avevano vietato il festival perché «la settimana prima c’era stata la strage di piazza della Loggia, a Brescia» (https://mat2020.blogspot.com/2021/07/luglio-un-mese-di-festival-annullati.html consultato il 27/5/2024).

5 Protestano gli organizzatori del Santamonica Rock Festival, «Il Resto del Carlino», 20 luglio 1974, p.8.

6 Partiti enti associazioni concordi sul no al festival, «Il Resto del Carlino», 21 luglio 1974, p.8.

7 M. Luzzatto Fegiz, Proibito il festival pop dei 50 mila dell’autodromo, «Corriere d’Informazione», 18 luglio 1974, p.3.

8 I Nomadi, Come potete giudicar, cover di Revolution Kid di Sonny Bono, Cantagiro 1966.

9 M. Luzzatto Fegiz, Il «pop» non si addice a Misano, «Corriere della Sera» 25 luglio 1974, p. 13.

10 I. Cucci, Il Festival rock forse in settembre, «Il Resto del Carlino», 20 luglio 1974, p.4.

11 E. Montemaggi, Sassi e candelotti lacrimogeni per il “festival rock,, rinviato, «La Stampa» 25 luglio 1974, p.7.

12 S. Reggiani, Filosofia del «pop», «La Stampa» 18 agosto 1974, p.8.