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La nascita dell’Inno dei Lavoratori

Amintore Galli fu certamente musicista di vaglia e noto critico musicale, ma la sua fama travalicò il tempo in cui visse grazie in particolare alle note che compose per accompagnare l’Inno dei Lavoratori.

Riguardo a questa opera, che ben presto divenne la più cantata dal proletariato e probabilmente, fino all’avvento del Fascismo, il componimento più intonato nella società italiana, vi sono alcune testimonianze, in particolare quella di Costantino Lazzari, che ci aiutano a ricostruire la sua genesi.1

Nel 1886 Lazzari, uno dei padri del socialismo italiano, propose, per l’inaugurazione dello stendardo della Lega dei Figli del Lavoro, un inno «che fosse la sintesi delle aspirazioni del Partito operaio».

Data tuttavia l’incapacità degli operai a trovare le parole giuste, secondo il racconto di Lazzari, a scrivere i versi fu designato all’unanimità Filippo Turati, allora un giovane letterato e avvocato ventinovenne, proveniente dal partito radicale ma già ben noto negli ambienti del movimento operaio.

I compagni notarono compiaciuti che Turati era riuscito a inserire nel testo tutti i temi più cari di quel socialismo embrionale che ancora in quegli anni si stava dibattendo.

Restava tuttavia da compiere la seconda parte dell’opera: musicare il canto. Lazzari ebbe allora la seconda intuizione e pensò ad Amintore Galli, critico musicale de Il Secolo.

Galli aveva composto un brano per altri scopi ma pensò di adattarla all’inno di Turati: “Quella musica – affermò il Maestro – la composi per un circolo sportivo che però dopo poco tempo si sciolse. In seguito, data la sua popolarità, divenne l’inno ufficiale del Partito Socialista Italiano, su parole di Filippo Turati. Musica semplice, quella, ma espressa da un getto di spontanea melodia (sacra parola, questa, la chiamava il nostro grande Verdi ed aveva ragione)… Ironia della sorte… quell’inno cosi indovinato, quante noie!… quanti dispiaceri mi procurò!… venni per diverso tempo anche pedinato dalla polizia… perché ritenuto pericoloso rivoluzionario… e fui persino costretto a ritirare dalla vendita tutte le copie dell’inno, pagandole naturalmente di mia tasca” 2.

La prima audizione avvenne in una sala della redazione del Secolo; Lazzari ricordò poi che pochi giorni dopo «noi ne facemmo la prima pubblica prova in una allegra serata carnevalesca, che passammo nella modesta trattoria Tresoldi in Via Bocchetto. Ne restammo tutti commossi ed entusiasti e da allora in poi diventò il nostro ritornello di richiamo.»3

Galli tuttavia temeva di urtare i suoi colleghi e pensò allora di utilizzare inizialmente lo pseudonimo di Giano Martelli, anagramma del proprio nome.4

Pubblicamente il canto venne suonato a Milano il 28 marzo 1886 nei locali della società corale «Vincenzo Bellini» e anche nel salone del Consolato operaio in via Campo Lodigiano5, a opera della Corale «Donizetti», nel corso della “Festa proletaria del Partito Operaio Italiano”, ottenendo un successo strepitoso.

Come ha rilevato Renato Zangheri6, si era raggiunto lo scopo di dare al partito operaio un inno risoluto, a forti tinte, con parole non più retoriche di quelle usate all’epoca, ma raccolte e disposte per il canto: ora per gli operai c’era da cantare e da suonare.

Si celebrava il mito moderno del progresso sociale: il passato è da rifiutare, l’avvenire è radioso. Nelle sue otto lunghe strofe la condizione sociale e la prospettiva del riscatto sono strettamente intrecciate grazie a un ritornello decisamente efficace: «Il riscatto del lavoro/de’ suoi figli opra sarà/o vivremo del lavoro/o pugnando si morrà»”. Emerge chiaramente il valore fondante del lavoro, che deve prevalere sul capitale, quasi anticipando di 60 anni il primo articolo della Costituzione repubblicana.

Per una serie di motivi, non ultimo l’analfabetismo ancora prevalente negli strati più bassi della popolazioni cui si rivolgevano, i socialisti diedero grandissima importanza alla propaganda orale, rispetto ai movimenti precedenti i movimenti operai: comizi e conferenze in pubblico si moltiplicarono e videro una enorme partecipazione di massa, inconsueta per l’epoca.

Tipici furono i cortei con segni distintivi di appartenenza e importanza assolutamente preponderante del corteo avevano le bandiere e i canti: era infatti molto spesso presente la banda che intonava gli inni, ed immancabilmente dapprima solo l’Inno poi anche L’internazionale: «In molte sedi operaie si allestivano i cori al quale si impartivano elementari lezioni di canto per l’Inno dei lavoratori»7.

Il canto corale dell’Inno al termine di ogni congresso del partito doveva simboleggiare appunto la ritrovata unità dei «compagni» dopo le immancabili precedenti discussioni nel congresso stesso.

La fortuna dell’Inno

L’Inno godrà di un consenso sempre crescente e nell’arco di pochi anni diventò il preferito degli operai, contribuendo a ciò anche il fatto che per anni fu in effetti l’unico canto dei lavoratori. Lo stesso Partito socialista nel 1899 lo considerava uno dei tre inni più noti, insieme alla Marcia Mondiale dei Socialisti e all’Inno del 1° maggio, ma cronologicamente era anche il più longevo.

Destinato a sopravvivere ai suoi stessi autori divenne, insieme a Bandiera Rossa e a L’internazionale, uno dei tre più significativi canti del movimento operaio italiano8.

Un altro indice del successo del canto fu la sua diffusione in ambiti contigui agli operai, anche se sempre nell’area che si riconosceva nel socialismo: i contadini, i metallurgici, i lavoratori edili e la gente di mare adottarono l’Inno come loro canto ufficiale che si diffuse, in una specie di sentire comune, in altri settori politici vicini al proletariato: nonostante le divergenze ideologiche spesso i militanti socialisti intonavano insieme agli anarchici canti di questi ultimi e l’Inno, a sua volta cantato di solito con l’Inno a Garibaldi per il ricordo del periodo «socialista» dell’eroe9: segni che le rivalità dei vertici sfumavano nella base che doveva affrontare comuni nemici.

I socialisti comunque lo ritenevano talmente rappresentativo delle loro idee che fu cantato nella prima festa ufficiale dei lavoratori, avvenuta il 1° maggio 1892 e la tradizione fu ripetuta in tutte le successive ricorrenze.

Il canto divenne il suo inno ufficiale del Partito Socialista dopo la sua fondazione: a tutti ben noto, era intonato immancabilmente al termine dei congressi ma anche in varie occasioni e feste in cui erano presenti i lavoratori.

Il successo dell’Inno dipese anche dalla diffusione capillare di testo e musica da parte dell’Avanti! che vendeva le partiture dei canti operai: peraltro dalla sua posizione all’interno degli annunci e dal costo si può facilmente dedurre che l’Inno fosse il canto dei lavoratori più richiesto.

La persecuzione giudiziaria

L’ Inno provocava timori perché le idee a cui si ispiravano erano malviste, se non del tutto rifiutate, dalle forze conservatrici ma anche da altri settori che pure si richiamavano a valori democratici, ma fu il potere politico che vide nell’Inno un pericolo per l’egemonia delle classi dominanti e perciò il brano, nonostante il successo straordinario in tutta Italia, fu dichiarato fuorilegge.

Chi veniva colto a cantare l’Inno dei lavoratori in pubblico era condannato a giorni 75 di carcere per reato di «istigazione a delinquere» e «incitamento all’odio tra le classi». Un paio di circolari dell’autorità giudiziaria uniformarono i criteri della censura anche sulla stampa dell’Inno: tra il 1890 e il 1892 esso fu sequestrato a Parma, a Milano, a Catania.

Inoltre la vigente legislazione penale e sulla stampa puniva da tre mesi a un anno di carcere e con una multa da 50 a 1000 lire se veniva ravvisata la violazione dell’art. 247 del codice penale che puniva il delitto di apologia di reato e la Corte Suprema, con sentenza del 21 febbraio 1896, statuì inoppugnabilmente che l’lnno dei Lavoratori cantato in pubblico costituiva il reato previsto dall’art. 247 del Codice Penale. 10

Una nota del Ministero dell’interno, datata 28 dicembre 1893 e indirizzata al prefetto di Bologna, nel richiamare le ordinanze di sequestro emesse a proposito dell’Inno «dalle autorità giudiziarie di Parma, Catania e Milano», ribadiva che «è fuor di ogni dubbio che lo stampato dell’Inno dei Lavoratori debba sempre sequestrarsi».

Di più, sottolineava come «il canto di quell’inno debba ritenersi sovversivo e non solo non possa permettersi in pubblico, ma costituisca reato ai sensi degli articoli 246 e 247 del codice penale; per lo che si possa procedere in flagranza all’arresto dei colpevoli».

Nelle cronache dei giornali dell’epoca si possono leggere moltissimi episodi in cui le forze dell’ordine arrestavano chi cantava l’Inno nonché di numerosissimi processi intentati che quasi sempre finivano con la condanna e la reclusione del «cantante», almeno fino al 1903.

E’ probabile infatti che con il nuovo corso stabilito all’inizio del secolo da Zanardelli e Giolitti il canto dell’Inno portasse a un minore allarme sociale: lo stesso Avanti! infatti dice nel luglio 1902 che esso era pubblicamente cantato senza conseguenze da due anni.

Dopo la marcia su Roma furono vietati i brani giudicati sovversivi, cioè quelli di stampo anarchico o socialista, come l’Inno dei lavoratori o L’Internazionale; occorrerà attendere la liberazione dal fascismo per poter finalmente cantare l’Inno in pubblico senza conseguenze.

Da “Pastiglie di storia”, Galli Amintore: l’arte musicale e non solo, Istituto per la storia del Risorgimento italiano – Comitato di Rimini, quaderno n° 1, gennaio 2019

1 L’episodio è ricordato da Lazzari in C. Lazzari, Memorie, a cura di A. Schiavi, in «Movimento Operaio», 1952 pagg. 623 e segg.; brani del racconto dell’sponente socialista sono riportati per estratto da R. Monteleone, Filippo Turati, Torino 1987 pag. 45, R. Zangheri, Storia del socialismo italiano, II, Dalle prime lotte nella Valle Padana ai Fasci siciliani, Torino 1997, pag.266

2 La citazione, contenuta in una Autobiografia manoscritta di Augusto Masssari pubblicata nel 1987 dal Comune di San Giovanni in Marignano, si trova in Gianandrea Polazzi, Andrea Parisini e Maria Chiara Mazzi, Rimini e Amintore Galli, Rimini, Rotary Rimini Riviera, 2002, pag. 137

3 R. Zangheri, op.cit., pag.266

4 R. Zangheri, op.cit., pag.266

5 Nella catalogazione delle opere di Galli contenuta in Giampiero Tintori, Luigi Inzaghi, Guido Zangheri, Sergio Martinotti Amintore Galli musicista e musicologo, Milano, Nuove edizioni, 1988, la prima esecuzione viene datata il 28 marzo al Consolato operaio in Volampo [sic, ma deve trattarsi di refuso tipografico] Lodigiano.

6 R. Zangheri, op.cit., pag.268

7 M.Degli Innocenti, op.cit., pag.36

8 G.Lucini in http://www.dailygreen.it/32731-2/ consultato il 15 settembre 2018 e il 2 dicembre 2018

9 Si vedano ad esempio Avanti!, 20 maggio 1902, pag. 3, Avanti!, 5 giugno 1902, pag. 4 e Avanti!, 20 gennaio 1903, pag. 3

10 La Stampa, 8 aprile 1896, pag. 3