Con Capitan Giulietti il sogno divenne realtà
La grande impresa di navigazione fu istituita legalmente dal sindacalista riminese il 18 settembre 1918 a bordo del transatlantico Giuseppe Verdi
“Per avere un’idea esatta della «Garibaldi», bisogna conoscere la Federazione sindacale da cui è sorta, il travaglio dei lavoratori nel corso dei secoli e intravvedere la meta verso cui incessantemente il progresso conduce”: con questa frase “Capitan” Giulietti spiegò i motivi per cui 100 anni fa fondò la cooperativa di navigazione «Garibaldi».
Molti avevano pensato di dare la possibilità ai marittimi di possedere le navi in cui navigavano ma questo era sempre rimasto un sogno: fu il sindacalista riminese che lo realizzò.
Attivo fin dal 1901, nonché uomo politico dal primo dopoguerra fino al 1923 e dal 1944 alla morte, Giulietti attribuì sempre la massima importanza alle questioni economiche: guidava dal 1909 una poverissima federazione che poteva contare solo sui modestissimi apporti di associati ancora più poveri ed aveva una controparte dotata di fortune immense, con banche di primaria importanza che detenevano il controllo delle compagnie di navigazione in grado di fare cadere governi e imporre la propria volontà a ministri recalcitranti.
La maggior parte di esse, inoltre, godeva di sussidi e sovvenzioni dallo Stato per importi ingentissimi. Fra il 1893 ed il 1910, la sola compagnia Navigazione Generale Italiana (N.G.I.) aveva ottenuto sovvenzioni per oltre 151 milioni, pari a tre volte il valore della sua flotta.
Per il sindacalista riminese si doveva irrobustire economicamente la Federazione dei Lavoratori del Mare perchè potesse affrontare gli armatori con maggiore forza, svolgere una politica attiva, influenzare il mondo politico ed economico e nel contempo sostenere partiti e organi di stampa vicini alle idee di Giulietti.
Probabilmente il padre garibaldino gli aveva fornito un’educazione repubblicana anche in campo economico e secondo i principi mazziniani, coniugare lavoro e capitale era possibile: il modo principale in cui egli volle realizzare questo sogno fu fondare una cooperativa di armamento; perciò il 18 settembre 1918 a Genova, a bordo del transatlantico Giuseppe Verdi, fu costituita legalmente la cooperativa «Garibaldi», con nomina di Giulietti a Presidente.
In parlamento egli sostenne questa grande operazione spiegando anche i motivi del nome attribuito: “I marinai hanno messo questo bellissimo nome alla loro Cooperativa perché il bel «garibaldone» era un marinaio di lungo corso, un esperto e coraggioso navigante oltre alla sua qualità «arcangelo liberatore», che conoscete. Ci inebriamo pensando a Garibaldi, marinaro magnifico ed ultra generoso, quando gli rubano il mantello esclama: «n’importa, dormirò sull’erba!». Soltanto cuori di questa tempra poterono liberare l’Italia. Quindi il nome di Garibaldi sta bene come segnacolo e tutelare di questa cooperativa, basata sul volontario sacrificio di tutti gli equipaggi della marina mercantile.”
Nell’ottobre 1919 a Fiume Giulietti incontrò l’eroe Luigi Rizzo, che aveva affondato la corazzata austriaca Wien, partecipato con Gabriele D’Annunzio e Costanzo Ciano alla “Beffa di Buccari”, silurato la corazzata Szent István, ottenendo al termine del conflitto due medaglie d’oro. L’intesa fu immediata e Rizzo divenne direttore della cooperativa.
Il genio finanziario di Giulietti però si manifestò nel fornire alla neonata creatura la forza indispensabile per affrontare l’agguerrita e non sempre leale concorrenza delle compagnie private.
“Ogni navigante avrebbe versato, mese per mese, mediante trattenuta, tutto l’aumento della indennità di carovita fino alla concorrenza di cinquemila lire, massima quota individuale consentita dalla legge sulle cooperative. Dividendi non sarebbero stati pagati, ma quando fosse stato possibile la società avrebbe gradualmente rimborsato le quote ai singoli soci meno una quota-ricordo di cinquanta lire… Dopo di che tutti gli utili saranno impiegati per lo sviluppo della marina e raggiunto tale scopo saranno devoluti per la redenzione di tutti gli altri lavoratori.”.
In sostanza pervenivano alla cooperativa circa £. 50 mensili per marittimo che, moltiplicati per i 40.000 uomini arruolati, davano “il cospicuo gettito di £. 20 milioni annui”.
Per effetto dell’applicazione retroattiva astutamente ottenuta da Giulietti, al momento della prima applicazione del contratto, parecchi milioni affluirono di colpo alla cooperativa.
In breve tempo si accumulò una somma enorme di capitali, sui quali la cooperativa non aveva nemmeno l’obbligo di corrispondere gli interessi e coi quali si sarebbe dovuto finanziare la più grande azienda cooperativa e sindacale del mondo. La particolarità dell’idea di Giulietti stava nel fatto che erano gli armatori a consegnare il denaro ad un organismo che faceva loro una dura concorrenza.
La «Garibaldi» diventò nel volgere di pochi anni un grande ente dotato di larghi mezzi finanziari, oltre che da un numero elevatissimo di soci, giungendo ad iscriverne 62.000, esempio della potenza e dell’affermazione personale di Giulietti che all’epoca non ebbe eguali nel mondo della cooperazione.
La compagnia acquistò diverse navi, alcune anche austriache ma “prede di guerra”, mantenendo tuttavia cospicui mezzi liquidi per fronteggiare la crisi che stava attanagliando il mondo della navigazione.
Il vero pericolo fu però l’avvento del fascismo: nonostante una difesa disperata da parte del sindacalista riminese, il regime commissariò con vari pretesti la cooperativa con lo scopo di togliere il denaro e il potere al suo Presidente.
Al termine del secondo conflitto mondiale, dopo varie vicissitudini la «Garibaldi» tornò in mano a Giulietti; il governo tuttavia non vide favorevolmente la cooperativa che nel 1948 gestiva 9 navi, di cui 5 di proprietà e 4 in gestione dalla Marina.
Veniva infatti preferito l’armamento privato, i cui massimi esponenti erano Angelo Costa e Achille Lauro il quale, privo di scrupoli, giunse a prendere senza titolo una nave dalla «Garibaldi», la Bertani. Il sindacalista riminese commentò: «Ora, rispetto a Lauro e compagni, la «Garibaldi» è una pecorella. Basta vedere quello che Lauro sta spendendo per queste elezioni per capire di che lupo si tratti!».
Alla morte di Giulietti nel 1953 la guida della cooperativa passò al figlio Nino che ereditò una situazione pesante: nel 1955 la «Garibaldi» venne di nuovo commissariata; nel 1959 essa finalmente ricominciò ad operare, ma svincolata dal sindacato e simile a una piccola compagnia armatrice, senza più nulla a che vedere degli iniziali ideali.
Era definitivamente tramontato il sogno del 1918.
Ariminum, novembre dicembre 2018