Si possono avere interessi immobiliari e nello stesso tempo amare la propria città? Spesso il pensiero dominante è che l’affarista specula a danno della sua comunità. Un celebre film di Frank Capra, L’eterna illusione, ha rappresentato in modo magnifico questo dilemma quando contrappone un gruppo di affaristi ad una famiglia per la quale ciò che conta non è il denaro ma l’integrità dell’ambiente.
Eppure anche in ciò c’è stata un’eccezione a Rimini: il famoso, mitico e inarrivabile rag. Umberto Bartolani.
Nato il 1 gennaio del 1901, come amava ripetere il primo riminese nato all’alba del secolo, Bartolani aveva sviluppato fin dall’infanzia uno spiccato senso degli affari condito da una furbizia contadina al limite del lecito: a 12 anni lavorava come lift boy al Grand Hotel e chiedeva agli illustri clienti dell’Hotel come mancia i francobolli della corrispondenza che ricevevano: subito dopo si recava presso i ricchi riminesi collezionisti per venderli con profitto; oppure leggeva al cuoco analfabeta le lettere del figlio militare a Padova, spesso inventate da lui, ricevendone in cambio polli o piccioni.
Naturalmente i suoi studi si diressero verso l’ambito economico e ben presto divenne contabile in una ditta lavorandovi il mattino; per arrotondare i magri guadagni nel pomeriggio aiutava l’ufficio di Polizia Urbana e la sera dopo cena teneva l’amministrazione della Tipografia Benzi.
Tuttavia l’amore per la cultura emergeva già nella sua giovane mente: si iscrisse all’Università Popolare di Rimini fondata nel 1921 da Igino Righetti, si adoperò per la diffusione dell’istituzione: sfruttando la sua arte persuasiva si concentrò nell’organizzazione e nella promozione con indubbio successo tanto che nel 1923, come ha già ricordato sulle pagine di questa rivista Arnaldo Pedrazzi, Bartolani ricevette una medaglia d’oro per aver procurato l’adesione di oltre cento soci.
Bartolani fu notato allora da Mario Carli importante agente della compagnia assicurativa R.A.S. il quale, vedendo le abilità dialettiche di Bartolani, gli affidò pure l’incarico di trovar moglie ad un suo cliente entro otto giorni, data della partenza in America: il furbo giovane battendo con l’auto di Carli le campagne, convinse a Savignano una donna al grande passo: dopo un fidanzamento durato cinque giorni, nel sesto si svolsero le nozze. Naturalmente Bartolani si occupò del corredo, delle fedi e del consenso del vescovo alla celebrazione senza pubblicazioni, ottenuto spacciando al prelato la falsa notizia che la donna fosse in dolce attesa. Infine, con l’autovettura di Carli accompagnò la coppia appena sposata a Genova in tempo per la partenza del piroscafo.
Nel 1924 Umberto si sposò a sua volta con Margherita, matrimonio felice ma non allietato dalla nascita di figli; in viaggio di nozze andò a Marsiglia dove riuscì a vendere alcuni francobolli di San Marino e della Città del Vaticano con cui pagò le spese del soggiorno nella città francese.
Ma Bartolani non era fatto per lavorare dietro una scrivania alle dipendenze di altri: il suo focoso ingegno doveva innalzarsi verso gli spazi aperti degli affari, il primo dei quali lo rese famoso.
In società con il fabbricante, alla fine del 1923 il vulcanico riminese si occupò della vendita di un fornello a benzina chiamato “Elios”: ebbe un enorme successo riuscendo a vendere 3200 fornelli in due anni con in omaggio “un servizio da tavola per 6 persone”, che altro non era che un set di 6 stuzzicadenti con inciso il suo stesso nome “Bartolani”!
Iniziava la carriera dell’uomo d’affari: agente pubblicitario, vendeva gli spazi all’interno delle corriere della SITA, del Politeama Riminese e della “Guida del Bagnante”, settimanale estivo che godeva dell’attenzione dell’influente politico Innocenzo Cappa; commerciante avveduto, comprava merci da ditte in liquidazione in Italia e le rivendeva a Rimini; imprenditore con il fiuto anche politico, fondò in Piazza Tripoli un Emporio Gastronomico dove spacciava con successo un presunto “formaggio di Predappio”, in realtà realizzato a Santa Sofia e Morciano, arrotondando i cospicui guadagni con il noleggio di biciclette e la vendita di bibite e gelati.
Ma le realizzazioni più importanti di Bartolani avvennero in campo immobiliare: egli intuì con perspicacia le potenzialità di una vasta landa desolata denominata volgarmente il “Terzo” per la presenza della pietra romana che indicava il terzo miglio della Via Flaminia. I conti Pullè e Martinelli vi avevano costruito le loro ville e avevano chiamato la zona “Miramare”, probabilmente riecheggiando il famoso castello vicino a Trieste.
Bartolani aveva capito che la posizione era strategica, tra Rimini e Riccione, a ridosso di un campo di atterraggio, non lontano da San Marino. Non avendo denaro da investire dovette ricorrere in misura massiccia a quello strumento di pagamento tanto in voga fino a pochi decenni fa: la cambiale. Bartolani era un vero asso nell’ottenere credito: addirittura pagava con una cambiale anche il tabaccaio che gli vendeva le stesse cambiali!
Iniziata l’attività con l’acquisto di una villetta, in poco tempo vendendo, riacquistando e rivendendo si creò un piccolo impero, sotto l’egida dell’“Autorizzata Agenzia Affari Bartolani”. Ma egli non era solo un immobiliarista: si occupava di promuovere l’immagine della frazione stampando le prime cartoline di Miramare; ottenne dal podestà Palloni per il capolinea della linea filoviaria la costruzione della rotonda, sostituita nel 1965 dal lungomare; realizzò le prime strutture commerciali fino ad ottenere, vero colpo da maestro, l’intitolazione della via principale a Guglielmo Marconi: il grande scienziato era ancora in vita e Italo Balbo si era opposto perchè la strade si sarebbero dovute intitolare solo a persone defunte. Bartolani tuttavia, che vedeva come sempre in ogni cosa il lato propagandistico, ottenne direttamente da Marconi il placet e, data la sua autorità, il viale assunse la sua definitiva denominazione.
Le seconda guerra mondiale fu affrontata con la solita furbizia da Bartolani, il quale arruolato approfittò della prima licenza per darsi ammalato e di fatto non rientrare più in servizio. Quando si avvicinò il passaggio del fronte, Bartolani si era già prudentemente accomodato a San Marino, ottenendo con la sua attività, un po’ vera un po’ presunta, riconoscimenti anche dalla repubblica sul Titano.
Nel secondo dopoguerra i suoi interessi dapprima lo portarono a Milano, dove divenne rappresentante ed importatore dei prodotti “Caran d’Ache”, ma lo sguardo era costantemente rivolto agli interessi immobiliari a Miramare: l’attività di speculazione non cessava ed anzi lo lanciava in progetti sempre più ambiziosi, tra cui la progettazione e la realizzazione del “Villaggio Fiorito” e per rafforzare la realizzazione dei suoi progetti ideava nuove forme propagandistiche come l’omaggio di sacchettini di sabbia della spiaggia.
Ben presto però l’orizzonte di Bartolani si allargò ad altre zone della città, in particolare verso quel colle di Covignano martoriato e distrutto dalla guerra.
Già a 17 anni l’ingegnoso riminese si era invaghito di un’associazione che rappresentava il turismo nel paese, il “Touring Club Italiano” e come sempre era stato particolarmente attivo nel reperite nuovi soci, anche per poterne poi ottenere cariche e onorificenze. Infatti al millesimo socio iscritto il sodalizio lo nominò “console”, appellativo che all’epoca riscuoteva peraltro grande fascino e si prestava a favorevoli equivoci. Ma la caduta del fascismo non impensierì da questo punto di vista: Bartolani il quale non solo continuava a farsi chiamare “console” ma riuscì nell’arco della sua vita a portare a oltre 10.000 gli aderenti da lui presentati, ottenendo riconoscimenti come “socio più attivo d’Italia” e decine di medaglie di ogni metallo.
A dire la verità egli era solito dare in omaggio l’iscrizione del primo anno ad amici e conoscenti, e soprattutto a chi in qualche modo doveva ringraziare per un favore ricevuto, soprattutto negli ambienti ministeriali dove qualche impiegato particolarmente influente aveva agevolato pratiche che gli stavano a cuore.
Infatti Bartolani si era reso conto che per la sua attività il luogo migliore doveva essere Roma, la città della rinascita dopo l’Anno Zero e della Dolce Vita: qui venivano prese le decisioni più importanti, qui si concentrava il potere politico.
Il suo trasferimento a Roma coincise con l’espressione più plateale del suo innato esibizionismo: rapito da una specie di frenesia presenzialista, si lasciò trasportare da un impulso irrefrenabile partecipare a tutte le cerimonie più importanti e farsi fotografare con le più alte cariche dello Stato, tanto che nell’ambiente tutti cominciarono a chiedersi chi fosse questo personaggio, sempre presente in ogni fotografia, chiamato inizialmente “mister X”.
Divenne famoso quando con tre vecchiette in lutto si presentò all’inaugurazione del monumento al Milite Ignoto dicendo di esserne parenti.
Precorrendo la saga di James Bond, si inventò la figura del “Cormorano” misterioso agente che sembrava provenire da altrettanto misteriosi servizi segreti; con questo pseudonimo Bartolani riusciva ad apparire a fianco dei Presidenti della Repubblica Einaudi e Gronchi e i giornali di tutto il
mondo (persino in Venezuela!) si chiedevano chi fosse. L’arcano fu svelato nel 1956 da un giornale, sicuramente dietro la sapiente regia di Bartolani stesso che aveva deciso che era giunto il momento di svelare la propria identità alla nazione.
Gli interessi immobiliari andavano nel frattempo a gonfie vele: nel periodo più fecondo per la speculazione degli anni sessanta egli riusciva sempre a presentarsi come un benefattore donando per ogni lottizzazione compiuta un terreno per la costruzione di una scuola o la creazione di un parco pubblico, come nel caso di Pinarella di Cervia e Tagliata.
La notorietà di Bartolani giunse al culmine quando addirittura Federico Fellini si accorse di lui: egli mi raccontò un giorno che l’incontro fu casuale: mentre era in auto in Piazza Ferrari, Fellini accompagnato da Tonino Guerra e “Dino” Minghini, lo notò e gli disse che aveva bisogno di parlargli per una parte in sua prossima pellicola. In effetti Bartolani fu scritturato per uno dei film più noti, Amarcord, tanto caro ai Riminesi. L’inimitabile Umberto divenne il nuovo podestà di Rimini che molti, con felice anacronismo, pensarono rappresentasse il notissimo Palloni, già però in disgrazia nel periodo dei fatti.
Fellini in qualche modo beffò Bartolani che certamente non brillava per le doti fisiche o atletiche: gli fece girare tantissime volte la scena dell’arrivo del podestà a Rimini, arrivo che, nello spirito del regime, doveva avvenire correndo: ma nonostante fosse più che settantenne Bartolani fu diligentissimo e si rassegnò ad avere il “fiatone” sul set.
L’interesse immobiliare però cominciava a contemperarsi con quello culturale e filantropico: gli anni che passavano lo rendevano sempre più propenso ad affiancare tale interesse, peraltro mai abbandonato, ad una dose sempre maggiore di esibizionismo che manifestava nell’occuparsi dei problemi sociali e della città.
L’amore per Rimini non era mai venuto a meno anche quando si trovava a Milano o a Roma: tornava molto spesso alla sua patria riminese e la tranquillità economica, unita alla mancanza di eredi diretti lo rendeva sempre più propenso ad affrontare gli enormi problemi di una città distrutta alla guerra ma con grande voglia di ripartire, intervenendo personalmente anche con cospicui contributi in denaro.
Forse con l’avanzare dell’età si rendeva sempre più conto che, per dirla con il titolo originale de L’eterna illusione, quel film di Frank Capra relativo agli immobiliaristi, You Can’t Take It With You (“non puoi portarlo con te”, riferito al denaro), la ricchezza aveva un senso se spesa in modo da aiutare chi ne era privo. Era perciò solito offrire pranzi e cene dicendo che non pagava lui ma gli eredi; oppure raccontava di aver fatto testamento a favore dei nipoti meno uno, naturalmente tacendo chi fosse in modo che tutti si adoperassero a suo favore.
Innumerevoli sono state le testimonianze della sua beneficenza e tanti gli enti, laici e religiosi, che ne hanno goduto gli effetti; occorre peraltro aggiungere che i gesti non erano confinati nel silenzio ma ampiamente reclamizzati e Bartolani aveva una particolare predilezione per medaglie, diplomi e riconoscimenti.
Ciò che però doveva restare più a lungo nella memoria dei cittadini erano altre iniziative che Bartolani promuoveva nell’interesse di Rimini, problemi anche secolari ma che egli, così efficacemente pragmatico, intendeva risolvere per lasciare un segno nella città.
In verità non ci fu questione che egli non affrontasse, ma per poter rendere note le proprie idee gli occorreva un mezzo di diffusione, che trovò nell’unico quotidiano dell’epoca ampiamente letto, “Il Resto del Carlino”, stringendo amicizia con il capopagina Amedeo Montemaggi.
Ben presto inondò la redazione di lettere, articoli e comunicati, che il giornale molto spesso pubblicava per dare forza ad una iniziativa che veniva vista sempre come ulteriore sviluppo della città.
Su Ariminum ci si è già diffusi a proposito degli sforzi congiunti per liberare il Castello Malatestiano dalle “prigioni”, ma questa fu solo una delle tante campagne di stampa promosse, non tutte in verità coronate dal successo.
La prima fu la salvaguardia del colle di Covignano: dopo aver promosso la ricostruzione della Chiesa delle Grazie e di San Fortunato, e aver ottenuto dal Ministro dell’Agricoltura la piantumazione di 80.000 alberi, Bartolani e il Carlino si opposero dapprima alla costruzione del nuovo Seminario, che avrebbe inferto una ferita nel paesaggio del colle, e poi al passaggio dell’autostrada tra il colle stesso e la città, che avrebbe creato una barriera con la campagna. In entrambi i casi tuttavia i tentativi intrapresi non ebbero successo.
La seconda fu l’istituzione della provincia di Rimini: Bartolani fin dal 1954 aveva consegnato personalmente al Presidente della Repubblica Einaudi una prima richiesta, seguita da innumerevoli messaggi a tutte le istituzioni, regolarmente peraltro riportati sugli organi di stampa.
Una delle campagne di stampa che ebbe più successo fu lo stimolo per la realizzazione del Nuovo Ospedale al posto del vecchio nosocomio nel centro storico: dapprima sollevando il problema sui giornali, poi appoggiando l’attività dell’avv. Luciano Manzi il quale era presidente degli Istituti Ospitalieri e di Ricovero che poi materialmente costruì l’Ospedale, infine sostenendo la pratica nei ministeri romani. Quando la costruzione fu al termine Bartolani donò la somma dapprima di £. 1 milione nel 1971 e di £. 12 milioni nel 1973 per l’acquisto delle apparecchiature necessarie al reparto di terapia intensiva per i cardiopatici.
Bartolani si preoccupò anche della costruzione del mercato coperto sulle macerie dell’ex convento San Francesco, scrivendo continuamente della necessità che il centro di Rimini fosse dotato di un luogo di scambio dei prodotti ortofrutticoli ed ittici al riparo delle intemperie.
Un’altra battaglia portata a compimento ma non nel modo sperato fu la riqualificazione dell’area della ex stazione della ferrovia Rimini – Novafeltria. La cessazione dell’esercizio aveva portato ad utilizzare l’area ove si trovavano i resti dell’anfiteatro romane come deposito del materiale rotabile della ferrovia, comprese locomotive e vagoni. La trascuratezza e il tempo avevano reso il luogo, a fianco della Via Roma, preda dell’incuria.
Per l’interessamento di Bartolani tale materiale fu venduto nel 1970 ma secondo le sue intenzioni il Comune avrebbe dovuto acquistare le locomotive e i vagoni per non disperderli, magari trasportandoli nei parchi pubblici; in realtà il pezzo migliore fu acquistato per £. 123.000 da un parco per bambini svizzero. In questo modo tuttavia si riuscì a rendere possibile il recupero della parte dell’anfiteatro non occupato dal C.E.I.S.
Tutti conoscono la tombola di San Gaudenzo, altra iniziativa legata all’intuizione di Bartolani del 1956 per finanziare la Croce Rossa Italiana, della quale ovviamente egli era Delegato per il reclutamento di nuovi soci e le attività di promozione: per tanti anni l’estroso personaggio diresse anche la banda in questa occasione.
Non riuscì Bartolani invece nell’intento di promuovere la ricostruzione del teatro “Amintore Galli”: dapprima si rivolse al Rotary di Rimini sperando che potesse raccogliere a livello internazionale i fiondi necessari per il recupero, in modo simile a quanto era successo con il Tempio Malatestiano e la Kress Foundation e l’American Committee for the Restoration of Italian Monuments, diretto da Charles Rufus Morey e con la consulenza di Bernard Berenson; poi si battè invano per un progetto che, pur salvaguardando il disegno del Poletti, ne aumentasse la capienza (proposta peraltro già avanzata anche dal Giuseppe Polazzi per togliere all’edificio il sapore elitario). Quando nel 1964 giunsero le proposte per una trasformazione radicale e la costruzione di un cinema e e 22 negozi si oppose vivamente perchè l’edificio non fosse di fatto abbattuto come il Kursaal e suggerì una soluzione temporanea che alla fine risultò vincente: la sistemazione della Sala Ressi e della parte monumentale su Piazza Cavour in attesa che tempi migliori dessero la possibilità di riedificare il teatro secondo l’originaria costruzione del Poletti, con i necessari adeguamenti.
Altre campagne di minor risonanza occuparono la mente fervida di Bartolani: la soppressione dei passaggi a livello e la loro sostituzione con sottopassaggi; la ricostituzione della banda della città di Rimini, vecchio pallino che lo aveva mosso fin dal 1934 a interessare il podestà Mattioli; le iniziative a favore dei Vigili Urbani; il trasferimento della statua di Giulio Cesare dalla caserma alla piazza Tre Martiri, che avvenne però per merito del Rotary e non suo.
Le ultime iniziative più note ai Riminesi, che possono vederne i risultati ancora oggi, furono il ripristino della fontana dei quattro cavalli a Marina Centro e la costruzione della chiesa del Cimitero.
La fontana, edificata nel 1928 dallo scultore Filigenio Fabbri fu inspiegabilmente demolita nel 1954
l’instancabile Umberto ne ottenne il ripristino nel 1983 dopo 12 anni di continue richieste, rendendo questa parte di Rimini meta dei turisti e di sposi in posa fotografica.
L’edificazione della chiesa del Cimitero, dedicata a San Francesco, il cui impulso partì dalla scomparsa della moglie fu integralmente finanziata da lui; nell’arco di un anno l’edificio fu eretto e consacrato nel 1978 a San Francesco, nel 750° anno dalla morte: un santo vicino ai mercanti e proprio un mercante in fondo Bartolani era stato per tutta la sua vita.