Non si può negare che il borgo San Giuliano abbia assunto nel corso degli ultimi anni una connotazione particolare, di grande fascino, dovuta alla presenza del Ponte di Augusto e Tiberio che proprio 2000 anni or sono fu terminato ma anche a una valorizzazione indovinata. Nasce spontaneo il desiderio di scoprire e conoscere questo angolo così caratteristico di Rimini.
E’ quindi da salutare con grande favore l’uscita di una breve ma pregevole opera di Tommaso Panozzo, «Per le vie del borgo» (Panozzo editore): come recita il sottotitolo, si parla di storia, abitanti e itinerari del borgo per antonomasia, San Giuliano. L’autore non è nuovo a questo tipo di impresa: già aveva pubblicato una concisa guida di Rimini e un originale itinerario felliniano per riscoprire la città, opere che non a caso hanno avuto molto successo anche tra i riminesi.
La classica domanda che ci si pone è: perchè comprare questo agile libro? Le risposte sono in verità tante e tutte convincenti: prima di tutto perché con rapidi tratti ed efficace sintesi si ha conoscenza delle vicende, che si sono succedute nei secoli, di questo quartiere così diverso dal resto della città. E’ una storia importante che credo tutti debbano sapere, a partire dagli stessi abitanti attuali: se come dice lo scrittore americano Safran Foer, ogni cosa è illuminata dalla luce del passato, perché non far brillare ancora di più questo gioiello cittadino? L’opera è rivolta anche agli altri riminesi: chi come me non è nato o non ha vissuto nel borgo ma ha avuto i propri parenti tra i residenti di qualche decennio fa, sicuramente avrà il piacere di rivivere l’atmosfera che viene ricreata dall’autore ripensando ai racconti ascoltati e tramandati.
Certamente però il borgo affascina tanti, italiani o stranieri, attirati all’inizio forse anche solo dal ponte di Augusto e Tiberio ma poi stregati dalle strette vie, così caratteristiche che paiono, per certi aspetti, calle veneziane (non a caso si parla di «un borgo veneto»): spesso si vedono turisti aggirarsi tra i vicoli alla scoperta di qualche angolo più particolare di altri. Perciò Panozzo ci conduce all’interno del borgo rivelandoci antichi luoghi ma anche nuove ristorazioni, illustrando i murales e le mattonelle con i soprannomi (più utilizzati dei nomi) che ricordano la vitalità del quartiere e la gente che lo abitava.
Non dobbiamo dimenticare infatti che in questi ambienti fino a qualche decennio fa viveva la parte più povera della popolazione urbana, in una situazione di degrado molto spesso indegna di un paese civile. Durante il fascismo, il famoso podestà Palloni fece addirittura demolire una parte delle case a monte della via Emilia, ma il pericolo maggiore fu corso negli anni Settanta, quando un noto urbanista, Giancarlo De Carlo, in una specie di mistica demolitoria e utopia ricostruttiva, propose di radere al suolo l’intero borgo per riedificarlo sotto forma di case a schiera, denominate «condensatori» dai sostenitori, «gabbie dei polli» dai detrattori. Il Piano De Carlo fu adottato dalla Giunta ma fortunatamente l’opposizione degli abitanti e una campagna di stampa, dopo un’aspra battaglia, fecero rinsavire gli amministratori (tra cui il sindaco Pagliarani che per la verità subiva un piano voluto dal suo predecessore) convincendoli che sarebbe stato meglio risanare più che distruggere. E in effetti tali ragioni alla fine hanno trionfato: la laboriosità cittadina, unita ad un movimento di apprezzamento di questa parte storicamente così importante di Rimini, hanno portato ad un modello di quartiere che affascina tutti, riminesi e turisti.
Panozzo rende interessante la lettura perché non indugia in particolari ma narra aneddoti, cerca il curioso più che l’erudito ma nello stesso tempo il rigore storico, pur nella sua sinteticità, è sempre assicurato: le notizie fornite sono circostanziate e assodate.
L’opera però non si limita agli aspetti culturali: giustamente si sofferma sulle caratteristiche anche antropologiche, come la notissima anarchia degli abitanti, i quali delusero un giovane, arrembante e ancora socialista Mussolini, ma anche sulla «Festa de borg», originale kermesse dove vive una riminesità autentica e affascinante; si conclude poi con una proposta per il futuro del borgo che, provenendo da un giovane autore, deve essere assolutamente meditata.