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Un atto di pirateria a favore di D’Annunzio a Fiume

Nel 1919 il sindacalista riminese organizzò con successo un audace colpo di mano, degno di un romanzo di Salgari, dirottando a Fiume un piroscafo carico di armi.

Nel settembre 1919, Giuseppe “Capitan” Giulietti, il famoso capo dei marittimi italiani dal 1909 al 1953 eccetto la parentesi del ventennio fascistai, ha in animo di aiutare Gabriele D’Annunzio che, nei giorni successivi all’occupazione di Fiume, si trova in gravi difficoltà. La città infatti è stata isolata dal commissario straordinario militare per la Venezia Giulia, Pietro Badoglio, perché il governo teme ritorsioni da parte degli Alleati; i socialisti sono diffidenti, se non apertamente ostili, anche per il sostegno, più verbale che reale, dato al poeta dal loro nemico Benito Mussolini. Giulietti, che per il suo interventismo si era dissociato dal socialismo ufficiale ed era rimasto in contatto con Mussolini stesso, vede nell’impresa di D’Annunzio non tanto una mera occasione di allargare i confini nazionali, quanto un atto per una futura rivoluzione che avrebbe potuto riverberarsi sull’Italia. Perciò fin dal 12 settembre 1919, quando il poeta entra a Fiume, Giulietti decide di appoggiarlo concretamente sia versando denaro, sia pianificando un’operazione che resta nei libri di storia non solo per l’audacia ma anche per l’incredibile successo che ottiene.

Confidando sulla fiducia che ripongono in lui i lavoratori del mare e sull’ascendente che egli stesso esercita sul manipolo di uomini che lo affiancano, progetta un’azione rivoluzionaria e ardimentosa. Da La Spezia sta salpando un piroscafo particolare, militarizzato perché non gli sia impedito salpare per l’Estremo Oriente, il Persiaii. Giulietti comprende subito che in esso vi è qualcosa di misterioso: ufficialmente, secondo il ministro Nitti, il carico consiste in “casseruole vecchie e rottami metallici” da fondere in Cina. Tramite i marittimi federati si scopre che invece vengono trasportate armi, destinate ai Russi Bianchi che in quel momento stanno tentando di restaurare lo zar contro la repubblica dei Soviet. Nasce allora l’idea geniale: perché non dirottare la nave a Fiume? Si sarebbe aiutato D’Annunzio e guadagnata la causa del proletariato, impedendo che le armi giungano ai reazionari Russi Bianchiiii.

Giulietti decide di inviare il suo luogotenente Umberto Poggi, il capitano Antonio Sulfaro e il radiotelegrafista Vincenzo Tatozzi, i quali si imbarcano clandestinamente a Messina il 1° ottobre 1919; all’interno della nave c’è un quarto uomo fedelissimo al sindacato, Guido Remedi, un macchinista, che nasconde gli altri tre nella stiva. Ora occorre passare all’azione: viene guadagnato alla causa un cameriere, scontento del suo trattamento e simpatizzante del sindacato e si convincono a collaborare i fuochisti.

Prende quindi forma il colpo di mano, che sembra il soggetto di un libro di Salgari o di un classico film d’azione: a mezzogiorno, quando la nave si troverà a Santa Maria di Leuca prima di virare verso il canale di Suez, il cameriere, servito il primo piatto, chiuderà a chiave la sala del pranzo e quella degli ufficiali e contemporaneamente agiranno Poggi con gli altri due compagni. «Siedono a tavola, accanto al Marchese Durazzo, nominato Ministro d’Italia in Cina e diretto a raggiungere la sua nuova residenza, la Marchesa Durazzo, con i bambini; il Maggiore d’Artiglieria consegnatario del prezioso e pericoloso carico che il Persia trasporta, l’onorevole Di Campolattaro che va a fare una passeggiata in Estremo Oriente, i due Regi Commissari di bordo, un Tenente di Cavalleria e uno degli Alpini, tre Ufficiali. La conversazione ferve animata». Al momento convenuto, i due camerieri, non visti, serrano le porte; Poggi, Sulfaro e Tatozzi sono pronti con una pistola alla mano: vedono i due camerieri uscire dal salone e ciò significa che l’operazione è andata a buon fine. Poggi spara un colpo in aria, Sulfaro, in divisa di tenente di Vascello, si avventa sul ponte di comando immobilizzando l’ufficiale presente, «Tatozzi si getta con tutto il suo peso contro il Radiotelegrafista che è appoggiato alla porta della cabina atterrandolo con due formidabili pugni» ad evitare che siano inviati segnali. Poggi «lancia il grido convenuto: “A Fiume! A Fiume!” Da prua e da poppa, i marinai ripetono il grido. Dalle scalette di macchina sale, urlando, la turba nera dei fuochisti armati di corde e palette. Nel salone, i passeggeri sobbalzano e si alzano bruscamente, interrompendo la colazione. Che diavolo succede a bordo? Gli uomini si dirigono alle porte; sono chiuse a chiave […] Poggi, Sulfaro, Tatozzi tengono – tranquillamente – le pistole spianate. Il primo prende la parola: “Signori, sono estremamente spiacente di dovervi da questo momento considerare prigionieri, ed informarvi che il mio amico capitano Sulfaro, assume col pieno accordo dell’equipaggio, il comando della nave […] Per ragioni che non sono tenuto a spiegare, abbiamo creduto necessario impedire che il carico di armi del Persia vada a finire in Russia. Non sarà torto un capello nessuno. Prego i signori di stare tranquilli, in attesa dei miei ordini, ed assicuro la marchesa Durazzo che nulla mancherà né a lei né ai suoi bambini. Possiamo aver l’aria di pirati ma siamo dei gentiluomini”. “Si può sapere dove ci portate?” “Nessuna difficoltà a dirvelo. Avremo l’onore di consegnare il Persia ed il suo carico nelle mani del comandante Gabriele D’Annunzio, a Fiume. Nessun italiano deve avere ragione di dolerseneiv”».

Sulfaro intanto ordina la deviazione della rotta; dopo qualche ora di navigazione appare una nave da guerra che però, fortunatamente, non scorge nulla di anormale e si allontana. Il piroscafo è giunto ormai nell’alto Adriatico, dove le unità inglesi e francesi, oltre a quelle italiane, formano il blocco navale di Fiume. Evitate le isole dalmate perché le siluranti francesi sono in pattuglia, il Persia giunge all’imbocco del Quarnaro: si avvicina un rimorchiatore armato della Regia Marina. Sulfaro, alle richieste di spiegazioni sulla destinazione, risponde: «A Fiume! […] Noi dipendiamo dal Comando della Difesa di Brindisi e abbiamo ordini speciali» Il rimorchiatore cambia rotta verso Pola per chiedere istruzioni.

«Fiume spunta in distanza nella nebbia rosata, quando si vede staccarsi dalla costa, verso Abbazia, la sagoma sottile e velocissima d’una “caccia” inglese che viene incontro al Persia, con bandiere e segnali. Sulfaro, punta i binocoli. “Ci intima di fermare! Che cosa facciamo, Poggi?” “Tiriamo innanzi. Che cosa vuoi fare?” Capitan Sulfaro è preoccupato […] Da che mondo è mondo, non si è mai visto un marinaio disobbedire alle ingiunzioni di una nave da guerra in servizio comandato. Ma Poggi non è tenuto ad obbedire, è un uomo “di terra”. Fiume è a portata di mano. “Avanti a tutta forza!”v Il Persia accelera la marcia, fremendo. L’inglese accorre, sotto la spinta delle eliche vertiginose. […] E se sparasse? Se sparasse, pazienza… “A momenti ci investe” mormora Sulfaro. Il “caccia” si sta avventando sul Persia come un toro infuriato. La sua prua tagliente coi pezzi minacciosamente puntati sta per speronare il piroscafo; tutti trattengono il respiro. Ma il Comandante inglese dev’essere un “manovriero” di prima forza: quando è addosso al piroscafo, con un leggerissimo colpo di timone, lo evita per tre metri, lo sfiora, dilegua, si allontana in un vortice di spuma, si dirige a sud, per dare l’allarme agli incrociatorivi. Troppo tardi! Il Persia sta entrando a Fiume. L’equipaggio, sulle sartie, saluta ad alta voce la città martire, mentre il gran pavese si alza sugli alberi, che recano in testa lo stendardo rosso e nero della Federazione Marinara».

Una folla acclamante è già sui moli: «Dal ponte, Poggi grida: “Salute! Vi portiamo il Persia!” “Venite subito a terra! Il Comandante vi aspetta!” […] Gabriele d’Annunzio muove loro incontro; colle braccia aperte. “Fratelli! È Dio che vi manda!” “Comandante! – dice Poggi – Vi portiamo il Persia e venti milioni di oro del carico. Non potevano avere un impiego più “italiano”. D’Annunzio è commosso, vibrante di entusiasmo. “Il vostro è lo stile di Ronchi. Siete legionari”». Li raggiunge Luigi Rizzovii, Ministro della Marina nel Governo Provvisorio di Fiume, il quale rimane affascinato dall’impresa.

Si scopre che le “casseruole” di Nitti sono in realtà «9 batterie da 65 da montagna (36 pezzi).con i vari elementi di armamento. accessori, buffetterie e bardature al completo e con 26.800 cartucce a shrapnel e 7200 a granata; 38 mitragliatrici Fiat, con accessori e parti di ricambio e 520.000 cartucce; 30.000 fucili mod. 91 completi con relative serie di buffetterie; 1000 moschetti da cavalleria con relative serie di buffetterie; 20 milioni e mezzo di cartucce per armi mod. 91; – 150.100 cartucce per pistole Mauser. viii».

Il dirottamento ruba la scena a Mussolini giunto a Fiume nello stesso giorno del Persia; Giulietti arriverà nella città del Quarnaro il 14 ottobre e convincerà Luigi Rizzo a diventare direttore della cooperativa di armamento “Garibaldi”. Badoglio, preso atto del successo del dirottamento, proporrà lo scambio delle armi con un carico di carbone, di cui Fiume è ormai priva, ma D’Annunzio risponderà: «Teniamo le armi e teniamo le navi» (in realtà saranno tenute solo le armi).

L’atto compiuto ha un enorme risonanza: Giulietti, divenuto deputato, il 12 dicembre 1919 spiegherà in Parlamento il gesto e le sue finalità, in una notissimo discorso ripreso da tutta la stampa.

Il dirottamento del Persia è un episodio cruciale nell’impresa di Fiume in quanto fino a quel momento le iniziative di D’Annunzio si erano limitate ad azioni nei confini della città, invece l’atto di pirateria darà impulso all’idea di un allargamento dell’orizzonte dell’impresa stessaix. Il poeta scriverà a Giulietti: «La bandiera del Lavoratori del Mare issata sull’albero di maestra quando la nave Persia stava per entrare nel porto di Fiume, confermò non soltanto la santità ma l’universalità della nostra causa. La Federazione, dopo averci arditamente mostrato il suo consenso e dato il suo aiuto, ci fornisce armi per la giustizia, armi per la libertà, togliendole a reazioni oscure contro un altro popolo, non confessate. Ringrazio te che all’improvviso ci hai portato il tuo ardore allegro, il tuo vigore costruttivo, la tua fede guerreggiante. E nuovamente ringrazio i quattro tuoi Arditi garibaldini che mutarono la rotta della nave con un colpo maestro, rapido, preciso, irresistibile nello stile di Ronchi […] La causa di Fiume non è la causa del suolo: è la causa dell’anima, è la causa dell’immortalità»x.

La causa di Fiume

Resistono molti luoghi comuni dell’impresa di Fiume, definita ancora “protofascista”, pregiudizi derivati prevalentemente dalla lettura dei fatti posteriore e distorta ideologicamente, nonostante gli studi di Renzo De Felice e di altri storici abbiano ricollocato l’evento nella giusta dimensione. Infatti Giulietti «evidenziò che il suo gesto si poneva senza soluzione di continuità con l’azione svolta dal movimento socialista dall’inizio della Grande Guerra a favore della libertà e della difesa di tutti i popoli contro ogni nazionalismo, il capitalismo ed il militarismo» (D. Rossi; G. De Vergottini. La città di vita cento anni dopo. Fiume, d’Annunzio e il lungo Novecento adriatico, Wolters Kluwer Italia Srl, Milano, 2020, p.131). D’Annunzio, dopo il successo del dirottamento del Persia, non solo confermerà ciò che aveva confidato a Giulietti ma lo proclamerà pubblicamente il 24 ottobre 1919 nel discorso “Italia e vita”: la ribellione fiumana è «la crociata di tutte le nazioni povere e impoverite, la nuova crociata di tutti gli uomini poveri e liberi, contro le nazioni usurpatrici e accumulatrici d’ogni ricchezza, contro le razze da preda e contro la casta degli usurai che sfruttarono ieri la guerra per sfruttare oggi la pace […] La vostra causa è la più grande e la più bella che sia oggi opposta alla demenza e alla viltà di quel mondo. Essa si inarca dall’Irlanda all’Egitto, dalla Russia agli Stati Uniti, dalla Romania all’India. Essa raccoglie le stirpi bianche e le stirpi di colore; concilia il Vangelo e il Corano, il Cristianesimo e l’Islam; salda in una sola volontà di rivolta quanti uomini posseggano nelle ossa e nelle arterie sale e ferro bastevoli ad alimentare la loro azione plastica. Ogni insurrezione è uno sforzo d’espressione, uno sforzo di creazione». Aggiungerà successivamente un elogio alla Repubblica dei Soviet che difese questo diritto, affrontando «le bande mercenarie di Koltchak e di Denikin, assoldate dalla finanza internazionale, aizzate dalla ringhiosa e impotente Conferenza di Versailles».

iSi vedano su «Ariminum», con riferimento a Giuseppe “Capitan” Giulietti, i vari contributi pubblicati sulla riviste di gennaio febbraio 2002, marzo aprile 2003, gennaio febbraio 2010, ottobre novembre 2013, luglio agosto 2016, novembre dicembre 2018. Per un ulteriore disanima dell’attività di Giulietti a favore di Fiume si veda: A. Montemaggi, Giuseppe Giulietti e l’impresa di Fiume, in «Storia e futuro», n. 42, novembre 2016 (http://storiaefuturo.eu/giuseppe-giulietti-e-limpresa-di-fiume/)

iiIl piroscafo Persia era un vapore di 13.000 tonnellate, era stato varato nel 1903 dal Lloyd Austriaco. Durante la guerra era stato internato. Nel 1919 passò al Lloyd Triestino.

iiiSecondo le memorie di Antonio Sulfaro, l’operazione viene concepita a Genova, il 15 settembre 1919 (L. Garibaldi, Per d’Annunzio diventano pirati e dirottano il “Persia”, «Storia Illustrata», 3 maggio 1999 in Antonio Sulfàro, L’ultimo corsaro del Mediterraneo (a cura di V. Vichi), Roberto Chiaromone editore, s.l., 2010, p. 265-266

ivIl racconto è tratto da alcuni articoli pubblicati su «La Stampa della sera» nei giorni dal 4 al 9 agosto 1931 a firma di Italo Sulliotti, probabilmente in base alla testimonianza di Umberto Poggi. L’attendibilità del racconto tuttavia è viziata dal fatto che nella narrazione, molto soggettiva e retorica, vi sono numerosi apprezzamenti negativi su Giulietti che in quel momento era perseguitato dal fascismo e al confino. Sulliotti era un noto giornalista dell’epoca, esperto di questioni navali: nato a Imperia, dapprima vicino a Giolitti, era divenuto nazionalista e poi fascista; il regime lo reclutò come informatore e lo inviò a dirigere a Parigi il settimanale fascista «L’Italie nouvelle – Nuova Italia» dove fu mandato anche il venticinquenne Indro Montanelli, che Sulliotti, pur intravvedendone le capacità, ritenne troppo impulsivo e intransigente nel suo fascismo tanto da licenziarlo nel dicembre 1934 e rimandarlo in Italia. Un’altra testimonianza, più concisa ma sostanzialmente coincidente a parte qualche particolare, è contenuta nelle memorie di Sulfaro, sopra citate.

vLuciano Garibaldi, sulla base di brani del diario fornito dalla famiglia di Sulfaro, ha attribuito a quest’ultimo la decisione di sfidare la nave militare inglese. (L. Garibaldi, op. cit., e Quando la Cina era davvero lontana, in «Storia in rete», gennaio 2009, pp.58 e segg.)

vi Occorre aggiungere che tra le grandi potenze vincitrici della Grande Guerra, gli Inglesi erano i più solidali con l’Italia

viiSi tratta del celebre affondatore delle corazzate austriache Wien e Santo Stefano, eroe di guerra pluridecorato con due medaglie d’oro.

viiiL.E. Longo, L’esercito italiano e la questione fiumana (1918-1921), tomo I parte 1, Edizione Ufficio Storico SME, Roma, 1996 p.261; si veda anche G. Giulietti, discorso alla Camera del 12 dicembre (Atti parlamentari della Camera dei Deputati del Regno, XXV legislatura, 12 dicembre 1919, pag. 208). Secondo Kochnitzky «si trovò un po’ di tutto a bordo del Persia che faceva rotta verso l’Estremo Oriente: marmellate, munizioni e sciampagna destinata allo Stato maggiore dell’ammiraglio Koltchak, pneumatici, stivaletti, e persino un ambasciatore abbastanza stupefatto dell’avventura, e che il giorno stesso fu lasciato andare». (L. Kochnitzky, La quinta stagione o i Centauri di Fiume, Zanichelli, Bologna, 1922, p.74)

ixM. A. Leeden, D’Annunzio a Fiume, Bari, Laterza, 1975, pp. 158-160

xG. Giulietti, Pax Mundi, Rispoli Editore, Napoli, s.d ma 1944, pp.75 e segg..

Ariminum, marzo aprile 2021