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Forse non tutti sanno che nella nostra città, nel parco XXV Aprile, vicino al Ponte di Augusto e Tiberio, dal 6 marzo 2014 esiste un Giardino dei Giusti intitolato a Ezio Giorgetti e Osman Carugno, due persone “giuste tra le nazioni” perchè hanno salvato trentotto vite umane ingiustamente condannate allo sterminio; il memoriale ricorda anche altri che hanno collaborato a questa nobilissima impresa o hanno aiutato altri perseguitati israeliti.

In questi giorni, quando Rimini è stata scelta “Città della Memoria 2021” e si svolgono le celebrazioni appositamente organizzate (che ci auguriamo continuino a lungo), può essere ricordata la storia del salvataggio di questi trentotto ebrei, vicenda ora ampiamente nota (Emilio Drudi in particolare, Lidia Maggioli e Antonio Mazzoni ne hanno ricostruito esattamente il percorso) ma diffusa da questo giornale al grande pubblico solo nel 1964, quando Giorgetti fu il primo italiano a essere onorato allo Yad Vashem, l’Ente nazionale per la Memoria della Shoah di Gerusalemme. Un gruppo di israeliti, composto in massima parte di vecchi, donne e bambini e guidati da un avvocato di Zagabria, Ziga Neumann, nel 1941 era fuggito da un campo di concentramento croato ma era stato catturato nella zona italiana, a Spalato, e da qui internato ad Asolo. Nella concitazione seguita all’8 settembre 1943, alcuni di essi fuggirono: dirà Giorgetti, divenuto negli anni Sessanta presidente dell’Associazione Albergatori di Bellaria: «Avevano avuto l’indirizzo della mia pensione da una mia cliente di Asolo. Arrivarono con una lettera di presentazione che li qualificava come “profughi stranieri”. Li accolsi. Solo dopo qualche giorno, visti vani tutti i loro tentativi di noleggiare una barca da pesca e di allontanarsi via mare, mi dichiararono di essere ebrei e di rimettersi nelle mie mani. Erano tutti vecchi, donne e bambini. Che avrei dovuto fare?»

Di fronte a questa domanda fondamentale come avremmo reagito noi? Avremmo scelto una soluzione comoda di indifferenza oppure una di grande coraggio ma molto rischiosa? Giorgetti preferì la risposta più difficile ma quella che sapeva più giusta: aiutò in tutti i modi i poveri perseguitati a costo di mettere in pericolo la propria vita: «Chiesi aiuto al maresciallo dei carabinieri Osman Carugno, che comandava la stazione di Bellaria, il sottufficiale promise (e sempre mantenne) di coprirci le spalle. Mi misi in contatto con il vescovo di Rimini, Vincenzo Scozzoli. Tramite il mons. Pasolini ottenni per gli ebrei coperte e materassi. Mancavano ancora le carte d’identità, necessarie per tutti quel poveretti, fra cui solo due o tre conoscevano l’italiano. Mi misi d’accordo con l’avv. Giovannetti, allora segretario-capo del Comune di San Mauro Pascoli, che mi procurò trentotto carte d’identità. Un timbro falso dell’incisore riminese Angelini riprodusse i simboli del Comune di Barletta (allora occupata dagli alleati e quindi non in comunicazione con l’Italia occupata dal tedeschi). I nomi italiani furono inventati da me e dall’avv. Giovannetti, che deve averli scritti di suo pugno sulle nuove carte di identità».

L’altro principale eroe di questa vicenda è il maresciallo dei carabinieri Osman Carugno, dichiarato “Giusto” allo Yad Vashem nel 1986: per lui che, come Giorgetti, doveva scegliere tra rispetto della legge ingiusta e ribellione verso l’ingiustizia della legge, tra legge inumana e il diritto umano, il dilemma era ancora più lancinante in quanto rappresentante dell’autorità. La coscienza lo portò a risolvere l’intimo dissidio nello stesso modo di Antigone nella tragedia di Sofocle: consapevolmente il maresciallo decise di disubbidire, sapendo che la morte sarebbe stata la sua punizione se fosse stato scoperto.

Nell’hotel “Italia”, dove erano alloggiati i trentotto ebrei, il pericolo era infatti in agguato: una spia nazista si trovava nell’albergo. Intervenne allora Carugno, facendola arrestare immediatamente: «Si trattava di un certo M. che si spacciava per capitano della marina tedesca: faceva fraudolentemente ispezioni nelle case italiane, impaurendone gli abitanti, a cui “requisiva” le cose più preziose rimaste. Egli subodorò qualcosa di sospetto fra gli ospiti dell’“Italia” e volle intervenire ad un pranzo, per indagare. Quando mi fu denunciata la sua comparsa lo arrestai per i reati da lui commessi (alcuni anche il giorno prima) e lo consegnai agli stessi tedeschi, che furono ben lieti di incarcerarlo per l’offesa alla loro divisa».

Trascorrevano i mesi ma il fronte di guerra si avvicinava e aumentavano pure le truppe tedesche e i pericoli; raccontò Carugno: «il segretario del fascio bellariese, vedendo per la strada un ragazzo ebreo, ebbe casualmente a dire “Ma è un puro ebreo!”. Il ragazzo riferì la cosa al padre, che, allarmato, decise lo sfollamento nel territorio pesarese» che Carugno stesso agevolò. A spese di Giorgetti, il gruppo di ebrei venne alloggiato a Pugliano nella attuale “villa Labor” la quale però fu requisita dopo un paio di mesi dall’esercito germanico. Giorgetti intervenne ancora e convinse i contadini della zona ad alloggiare i rifugiati in piccoli gruppi, nelle fattorie di Pugliano Vecchia. Il 24 settembre 1944 il lieto fine: all’indomani della liberazione, una pattuglia inglese raggiunse il gruppo di ebrei che era riuscito, grazie a Giorgetti e Carugno, a sopravvivere per oltre un anno e sfuggire alla sorte atroce che invece purtroppo tanti dovettero subire.