Un fondamentale avvenimento dell’ottobre 1922, un patto patrocinato da Giulietti tra D’Annunzio e Mussolini, rese possibile la Marcia su Roma senza l’ostacolo del Poeta
Capitan Giulietti, il riminese capo del sindacato dei Lavoratori del Mare e già noto ai lettori di questa rivista, rivestì un ruolo cruciale nei giorni immediatamente precedenti la Marcia su Roma. Agli inizi di agosto del 1922, visto che lo sciopero cosiddetto legalitario, a cui aveva aderito la Federazione del Mare, contro governo e fascismo era fallito ed anzi erano state compiute violenze verso gli esponenti del sindacato, Giulietti tentò di accordarsi con i fascisti. Vedeva da una parte che i partiti di sinistra avevano mostrato «una manifesta incapacità insurrezionale», dall’altra conosceva bene Mussolini con cui era stato in ottimi rapporti (in particolare con il fratello Arnaldo) dal 1914 al 1920, quando la «virata» del duce verso i ceti armatoriali – al contrario di quanto aveva sperato appoggiando il fascismo genovese cosiddetto di sinistra comandato da Massimo Rocca e Giuseppe Mastromattei – era diventata un serio pericolo per i marittimi. Si erano poi creati sindacati fascisti filopadronali che mettevano in pericolo la preminenza dell’organizzazione di cui era segretario.
Tuttavia Mussolini non accettò accordi ed anzi Giulietti, riparato a San Marino per prevenire mandati di arresto, si trovò quindi a fronteggiare da lontano situazioni molto delicate. Da una parte infatti i fascisti lo braccavano, tanto da tendergli un agguato nella repubblica del Titano che non fu mortale solo per un caso1. Dall’altra all’interno del sindacato stesso c’erano i contrari ad ogni accordo con i fascisti, come il direttore Luigi Rizzo, il quale, impavido eroe con due medaglie d’oro per l’affondamento di corazzate austriache, aveva ammonito gli armatori che in caso di attacco avrebbe affondato le loro navi. Giulietti, astuto e dalle mille risorse, non si lasciò però mettere nell’angolo: per fronteggiare il dissidio interno fece ottenere dai suoi fiduciari un plebiscito dei marinai a suo favore, sconfessando così Rizzo. Restava da affrontare l’avversario più pericoloso ma anche ben noto, quel Mussolini che stava seriamente pensando di prendere il potere con un atto risolutivo.
Con un’iniziativa spregiudicata, Giulietti agli inizi di ottobre 1922 si rivolse a Gabriele D’Annunzio, capo «spirituale» del sindacato e non ancora fascista – al quale, ai tempi dell’impresa di Fiume, aveva dato un aiuto fondamentale – perché intervenisse a suo favore; l’11 ottobre D’Annunzio accettò, come scrisse in un comunicato stampa molto chiaro in proposito. A questo punto Mussolini era in una fase critica: i suoi avversari del momento, Giolitti, Nitti e altri politici stavano cucendo le fila per un nuovo governo, contando anche sul timore di molti partiti verso i fascisti. Giolitti in particolare avrebbe voluto prendere le redini in mano ed usare le maniere forti verso Mussolini2 e, tramite la sua longa manus Facta, in quel momento capo del governo, aveva avvicinato D’Annunzio, che godeva ancora di un grande ascendente sulle masse.
La proposta era che il Poeta guidasse e tenesse un discorso per la prossima festa del 4 novembre, giornata della Vittoria nella Prima Guerra Mondiale, con lo scopo di candidarsi a salvatore della Patria in un momento tanto difficile. Il Vate era molto allettato da questa offerta.
Mussolini non poteva mettersi contro D’Annunzio in un momento tanto delicato, aveva necessità però che fosse neutralizzato. Perciò scaltramente Giulietti, che voleva sfruttare al massimo la favorevole occasione, indusse il Poeta a chiedere al duce ciò che più premeva a Giulietti stesso: riconoscimento della Federazione guidata da Giulietti con presidente spirituale D’Annunzio come unico sindacato dei marittimi, impegno a sciogliere i sindacati fascisti, un’amnistia per i reati commessi dai marittimi (tra cui c’era ovviamente lo stesso Giulietti). Il 16 ottobre, lo stesso giorno in cui decise l’insurrezione del 28, Mussolini firmò il patto3. Tale conclusione, resa nota da D’Annunzio il 21 ottobre, suscitò grande clamore, e il più avvelenato fu il Corriere della Sera, dove Luigi Einaudi – che, al contrario di Giulietti, non aveva compreso le mire di Mussolini – scrisse il 24: «La esposizione logica e cronologica fatta sopra del patto intervenuto fra il capitan Giulietti e l’on. Mussolini mette in luce come il primo abbia avuto l’abilità diabolica di indurre Gabriele D’Annunzio e il capo del fascismo ad apporre la loro firma a un patto di guerra, reputando di apporla a un patto di pace […] Né D’Annunzio né Mussolini hanno mai inteso sporcarsi le mani in questa faccenda. Essi hanno una nobile mèta dinanzi agli occhi. Questa però non si tocca con i metodi codificati a Milano».
In questo frangente, a quattro giorni dalla Marcia su Roma, quando i preparativi erano sulla bocca di tutti, Einaudi, con una cecità quasi incredibile, ancora pensava che il pericolo maggiore fosse Giulietti mentre D’Annunzio e Mussolini avevano «una nobile mèta dinnanzi agli occhi». In verità chi temeva davvero Giulietti erano proprio i fascisti: Emilio De Bono, il quadrumviro poi implicato nel delitto Matteotti, sosteneva la necessità di farlo affogare. Mussolini ebbe il grande risultato di estromettere di fatto dalle vicende politiche di quei giorni un D’Annunzio rabbonito, sviandone le attenzioni con il riconoscimento di grande capo della marineria, ma togliendogli quel ruolo di pacificatore che avrebbe ostacolato i disegni del duce. Ed infatti il 26 ottobre il Poeta comunicò che non avrebbe partecipato alle manifestazioni del 4 novembre: non a caso, uno dei primi messaggi di Mussolini appena la sera del 28 ottobre ricevette l’incarico dal re fu proprio diretto a D’Annunzio perché non si mettesse contro il duce4.
Sappiamo poi come D’Annunzio ebbe grandi riconoscimenti, secondo la nota metafora mussoliniana del dente cariato che o lo si toglie o lo si ricopre d’oro. Nel 1924 Luigi Rizzo, l’antifascista che voleva affondare le navi degli armatori, divenne fascista e ottenne dal regime molti onori, incarichi, prebende e persino titoli nobiliari. E Giulietti? Mussolini e gran parte dei gerarchi si accanirono per demolire e far dimenticare la figura del sindacalista, che fu mandato al confino nel 1927. «Corriere della Sera», 24 ottobre 1922; nell’articolo a destra Luigi Einaudi sferra un duro attacco al patto tra Giulietti, D’Annunzio e Mussolini.
Note
1. Il 1° ottobre 1922, mentre a San Marino Giulietti era alla festa per l’entrata in carica dei nuovi Capitani Reggenti, una numerosa squadra fascista da Roma, Ancona e Macerata irruppe nella sua abitazione per aspettarlo e ucciderlo. Poco prima di entrare egli sospettò qualcosa e tentò di fuggire ma gli squadristi lo videro. Nascostosi dietro un mucchio di sassi, i fascisti lo cercarono ma poi, pensando che fosse loro sfuggito, desistettero limitandosi a devastare la casa.
2. Mussolini temeva Giolitti più di ogni altro politico italiano e lo considerava l’unico capace di bloccare i suoi disegni, memore del fatto che lo statista piemontese non aveva esitato a far sparare cannonate contro D’Annunzio a Fiume.
3. In effetti Mussolini, giunto al potere, mantenne fede al patto e per il 1923 ebbe una politica conciliante; tuttavia a gennaio 1924 cambiò bruscamente ed estromise Giulietti dalla guida del sindacato.
4. Mussolini telegrafò a D’Annunzio la sera del 28 ottobre: «Mio caro Comandante, i giornali e il latore ti diranno tutto. Abbiamo dovuto mobilitare le nostre forze per troncare una situazione miserabile. Siamo padroni di gran parte d’Italia, completamente e in altre parti abbiamo occupato i nervi essenziali della Nazione. Non vi chiedo di schierarvi al nostro fianco, il che ci gioverebbe infinitamente: ma siamo sicuri che non vi metterete contro questa meravigliosa gioventù che si batte per la vostra e nostra Italia. Leggete il proclama! In un secondo tempo, Voi avrete certamente una grande parola da dire. Vi saluto, con devozione cordiale,
vostro Mussolini»
Ariminum, novembre dicembre 2022