Dal 1° novembre 1943 al 30 dicembre 1943
Trecento giorni di bombardamenti sconvolsero la nostra città e già nei primi sessanta il centro storico fu distrutto quasi totalmente

Tra i momenti più tristi della storia di Rimini sono da annoverare i bombardamenti che hanno sconvolto la città a partire dal 1° novembre 1943.Come tante calamità, purtroppo l’inizio fu in sottofondo e l’innato ottimismo dell’uomo tendeva a sottovalutare il pericolo.
Gli italiani durante l’estate del 1943 non si rendevano perfettamente conto che le sorti del conflitto stavano di gran lunga peggiorando e quando cominciarono ad essere emanate le prime norme per cautelarsi contro i bombardamenti, molti, ottimisticamente, ritenevano eccessive le prescrizioni e continuarono la vita di prima.
Gli studi al riguardo[i] hanno mostrato peraltro una relativa inefficacia delle misure adottate dal governo italiano, soprattutto se comparate con quelle, molto più severe, tedesche, con la fondamentale differenza inoltre che i cittadini germanici puntualmente osservavano le prescrizioni mentre nella nostra penisola permaneva l’italica tendenza ad aggirarle.
Il governo aveva individuato nel “capofabbricato” chi, alle dipendenze del Fascio locale fino al 25 luglio 1943 e successivamente del Comune, doveva provvedere all’osservanza delle disposizioni, ma queste stesse figure denunciano il lassismo e l’inosservanza delle precauzioni durante gli allarmi: “tutte le strade brulicano di gente che sembra vada a festa”[ii]; i cittadini, invece di rifugiarsi nei ricoveri, con calma e a “fiumane,” si avviavano verso il colle di Covignano incuranti del pericolo di essere mitragliati in caso di reale attacco aereo.
Dopo l’8 settembre i riminesi ritenevano ormai che la guerra fosse finita e che gli Alleati non avrebbero più bombardato l’Italia, ma si risvegliarono da questo torpore il 1° novembre 1943 quando all’allarme seguì davvero il bombardamento: tutti i testimoni presenti, da Luigi Pasquini ad Amedeo Montemaggi, raccontano «lo stupore ignaro dei riminesi trovatisi al centro di un terrore da cui essi credevano di essere fuori.»
Come tutti i suoi concittadini Montemaggi non si rese conto di quale pericolo incombesse, ma per sua fortuna era in compagnia di Walter Ceccaroni in via Dario Campana: «Lì per lì non capì affatto quel che stava succedendo. Vidi Ceccaroni gettarsi nel fossetto laterale di via Galliano con le mani a protezione della nuca, lo sentii gridarmi: “Buttati giù: è un bombardamento! Ne ho preso un altro a Pisa!”. Poi, così, rapidamente, tutto finì.»[iii]
Si contarono un centinaio di morti, tra cui Adamo Toni, il capo del partito comunista clandestino, scaraventato sul tetto di un palazzo di via Gambalunga: eppure era un attacco tutto sommato minore, 28 B-25 “Mitchell” americani, rispetto alle formazioni che attaccarono nei mesi successivi Rimini.
Ciò provocò una prima fuga dal centro urbano: il commissario prefettizio Eugenio Bianchini il 5 novembre scrisse al prefetto: «La popolazione della Città è in pieno esodo. Migliaia di persone sfollano: parte ha saturato le campagne di Rimini e i Comuni di Verucchio e Santarcangelo; la valle del Marecchia è pure satura; gli altri Comuni della Provincia fanno conoscere di non poter ricevere sfollati; Forlì li rifiuta, mentre i Comuni litoranei sono sotto la preoccupazione di una eventuale evacuazione almeno parziale.»[iv]
Nel frattempo il comando alleato aveva rielaborato i piani della guerra aerea: gli inglesi avevano notato che il bombardamento su Genova dell’ottobre 1942 aveva provocato un forte risentimento verso il fascismo più che verso loro stessi e pertanto ritenevano che una maggiore pressione sulle città avrebbe accentuato questo senso di rivolta verso il regime.
Perciò il 1° novembre 1943 fu costituito il 15° Air Force, al comando del famoso “Jimmy” Doolittle[v], raggruppamento destinato al bombardamento pesante e inizialmente composto da 90 B-24 “Liberators” e 210 B-17 “Flying Fortresses” (o “fortezze volanti”, così chiamate per il pesante armamento difensivo); il numero di aeroplani per ogni incursione fuaccresciuto e assunse consistenze impensabili: a volte anche più di cento bombardieri pesanti gettavano migliaia di bombe sugli obiettivi, con effetti catastrofici che la nostra città ebbe purtroppo la ventura di provare in grande misura.
A ciò si aggiunse la costruzione di numerosi aeroporti in Puglia, nella provincia di Foggia, in modo che il potenziale offensivo si accrebbe in misura considerevole: i quadrimotori americani riuscivano a colpire obiettivi in Francia, Germania, Polonia, Cecoslovacchia, Austria, Ungheria e nei Balcani.

Peraltro Rimini era individuata nella gran parte delle missioni come obiettivo: di solito non il principale ma secondario, da attaccare nel caso in cui non fosse stato possibile colpire la meta inizialmente prevista per motivi meteorologici (si calcolò che ciò avvenne per circa il 40% delle missioni).
Il 26 e il 27 novembre 1943, prima 28 e poi 51 B-17 americani colpirono Rimini con centinaia di tonnellate di bombe[vi]: l’obiettivo della stazione fu sostanzialmente mancato ma in compenso il resto della città fu pesantemente colpito, a causa del sistema tipico del bombardamento “a tappeto”: gli aerei sganciavano contemporaneamente il loro carico dietro segnale del capo formazione.


La popolazione, ammaestrata in precedenza, utilizzò la mezz’ora che separava l’allarme dall’effettivo bombardamento per ripararsi o fuggire precipitosamente in campagna, cosicché il numero delle vittime fu limitato: lo stesso Montemaggi, rifugiatosi in un ricovero di fortuna vicino alla sua abitazione, vide le bombe piovere dal cielo, la terra tremare e il rifugio sobbalzare: la fortuna volle che caddero a 70 metri di distanza.[vii]
Dopo questa incursione, la città si spopolò quasi completamente; ci fu un mese di pausa, utilizzato per permettere di sfollare ai riminesi finora rimasti e che si erano finalmente resi conto del terribile pericolo di vivere in città. Allora abbandonarono il centro per rifugiarsi nelle campagne circostanti: un periodo di fatiche, di disagi (e purtroppo di ruberie e sciacallaggi) per trasferire le poche masserizie essenziali alla vita quotidiana.
Il termine della relativa tregua fu però terrificante: tre giornate di continui bombardamenti aerei, dal 28 al 30 dicembre, ridussero Rimini ad un cumulo di macerie. Il primo giorno 126 B-24 e B-17 scaricarono oltre 300 tonnellate di esplosivo, il secondo 25 B-17 altre 75 tonnellate e così pure il terzo[viii].



Le bombe si sparpagliarono, a causa del forte vento, in gran parte del centro storico e della zona sud ovest, provocando le maggiori distruzioni sugli edifici civili e tra la popolazione; la città perse per 75 anni il proprio teatro: bastarono due dei tanti ordigni sganciati per danneggiare irreparabilmente il gioiello polettiano, come anche Augusto Campana ricordò[ix]. Il commissario prefettizio Ughi, con tono costernato, redasse una notissima e desolante relazione dettagliata dei danni subiti[x].


Fu proprio questo bombardamento che rivelò le deficienze e le inefficienze del sistema di protezione antiaereo: i rifugi erano costruiti sommariamente in scantinati di scarsa solidità, mentre i tedeschi, secondo il Führer-Sofortprogramm, costruivano bunker sotterranei di cemento armato.
E ciò fu anche il motivo della tragedia del rifugio di San Bernardino, in cui trovarono la morte 56 dei riminesi che ancora vivevano a Rimini[xi]. Chiunque avrebbe detto che la nostra città ne aveva avuto abbastanza, non così i comandi alleati che continuarono a inserire nei loro piani di azione Rimini tra gli obiettivi.
[i] Si veda ad esempio Fabio Ferrarini, La protezione antiaerea italo-tedesca durante la Seconda guerra mondiale: Milano, Trieste e Berlino, in “Qualestoria” n. 1 – giugno 2013, pag. 79
[ii]Il Resto del Carlino 27 agosto 1943, lettera di Luigi Severi il fotografo riminese che ritrasse poi la città distrutta.
[iii] Amedeo Montemaggi, Il Resto del Carlino, 1 novembre 1963. Nella città toscana il futuro sindaco aveva frequentato il corso allievi ufficiali.
[iv] Comunicazione inviata da Eugenio Bianchini al prefetto di Forlì il 5 novembre 1943
[v]James Harold Doolittle era considerato quasi un eroe negli Stati Uniti in quanto il 18 aprile 1942 era riuscito a bombardare Tokyo risollevando il morale della nazione segnata da una serie di sconfitte con i Giapponesi; dell’impresa fu tratto addirittura un film, “30 secondi su Tokyo, con l’attore Spencer Tracy che interpretò Doolittle.
[vi] Per una compiuta descrizione del bombardamento si veda Alessandro Gaffarelli e Jader Viroli, La Voce di Rimini, 28 e 29 dicembre 2003
[vii] Amedeo Montemaggi, Il Resto del Carlino, 25 novembre 1963
[viii] Il bombardamento fu propagandato come esempio di precisione; una delle foto qui riprodotte fu ampiamente pubblicizzata con una didascalia che Luigi Pasquini tradusse: «Una perfetta visibilità da 24 mila piedi (7,200 metri) di altezza ha messo questo bombardiere in grado di sganciare le sue bombe proprio sulla stazione ferroviaria di Rimini, nell’Italia del Nord. Per avere un’idea della perfezione della mira che il puntatore calcolò per la traiettoria, puntate il vostro dito sul gruppo di bombe in direzione della traiettoria di volo… Questo attacco di dicembre causò delle esplosioni, suscitò un certo numero di grandi incendi e lasciò la stazione e molto materiale rotabile fuori servizio per il nemico.»
[ix]Augusto Campana, Pietre di Rimini, diario archeologico e artistico riminese dell’anno 1944, a cura di Giovanna Campana, postfazione di Rosita Copioli, Edizioni di storia e letteratura, Roma, (2012)
[x]«Semidistrutto è il Municipio edificio monumentale del ‘400, semidistrutto il teatro comunale […] gravemente lesionato quel gioiello artistico che è la chiesa di Sant’Agostino, lesionati il portale del Tempio Malatestiano, la chiesa di San Girolamo, il tempietto di Sant’Antonio, colpita la chiesa di San Bernardino con annesso convento, lesionato l’edificio della storica torre di piazza Giulio Cesare [attuale piazza Tre Martiri]” distrutto il ricovero delle vecchie abbandonate […] colpita la Rocca Malatestiana, […] distrutto l’artistico Palazzo Lettimi» (Relazione di Ugo Ughi del 2 gennaio 1944).
[xi] Si veda l’articolo in questa rivista di Gaetano Rossi
Ariminum, marzo aprile 2020