Il tenente colonnello Karl Christiani
Molto si è dibattuto sui fascisti per la cattura dei tre partigiani ma assai meno sul comandante tedesco che li condannò a morte e fece eseguire la sentenza
Come è stato notato durante lo suggestivo e commovente spettacolo sulla storia dei Tre Martiri La calda estate di Riccardo Tabillo a cura della compagnia «Le Città Visibili» organizzato dall’ANPI il 16 agosto 2024, gli storici, mentre citano con dovizia di particolari la vicenda e dibattono sulla responsabilità di Paolo Tacchi, il segretario del locale fascio repubblichino, per la cattura dei tre partigiani, esaminano molto meno la figura del comandante tedesco che, presiedendo la corte marziale, li condannò a morte. Ci si ferma spesso al semplice cognome «Christiani» senza specificare altro a parte il grado, nemmeno il nome, né tanto meno la biografia se non approssimativamente. Eppure egli era colui che in effetti aveva comminato la pena capitale ai tre catturati.
Non si hanno notizie di ricerche per individuarlo al termine della guerra e accertare le sue responsabilità penali. Il tenente colonnello Christiani, comandante del 303° reggimento appartenente alla 162a divisione turkmena, non era certo una figura di poco conto: autoritario, dotato di grande potere in quel frangente e adirato per l’incendio di una trebbiatrice sotto i suoi occhi, minacciò l’arresto delle principali figure pubbliche riminesi come Mario Bonini, Giuseppe Babbi e lo stesso Commissario Straordinario Ugo Ughi, cioè la principale autorità comunale fascista1. Addirittura era intenzionato alla fine di agosto a compiere un vasto rastrellamento all’interno di San Marino con 1500 soldati, sventato in extremis dagli interventi di Gustavo Babboni ed Ezio Balducci, i quali riuscirono ad evitare un’operazione che avrebbe comportato sicuramente ulteriori lutti ed eccidi (si veda l’apposito riquadro).
Per colmare questa lacuna2, pubblichiamo il suo volto e ricordiamo che il suo nome completo era Karl Christiani; nacque il 12 marzo 1898 a Rheinfeld in Pomerania, vicino a Danzica (ora paese polacco con il nome di Przyj azn) da un pastore luterano, Karl Wilhelm Christiani, parroco a Trutenau e membro del Partito Popolare Nazionale Tedesco (in tedesco Deutschnationale Volkspartei, DNVP), un partito nazional-conservatore che si alleò con i Nazisti ma presto fu emarginato e costretto allo scioglimento.
Il giovane Karl si iscrisse all’accademia militare ma il 20 settembre 1915 si arruolò come soldato semplice; divenne caporale, sergente e tenente di riserva. Preso prigioniero dagli Inglesi il 4 marzo 1918, al termine della guerra andò in America del Sud, in quanto risulta che si sia sposato con la coetanea Lotte Polsfuss a La Paz in Bolivia il 21 marzo 1928. Sicuramente rientrò in Germania quando Hitler prese il potere e si arruolò nell’esercito con il grado di capitano il 15 settembre 1934. Divenne maggiore il 1 novembre 1939 e tenente colonnello il 1 giugno 1943; dal 26 luglio 1943 assunse il comando del 303° reggimento turkmeno sostituendo il precedente comandante Friedrich Linde: in questa veste lo incontriamo a Rimini nell’estate 1944 quando avvenne il triste episodio. Aveva un fratello più grande, Horst, nato il 13 agosto 1893 sempre a Rheinfeld, già colonnello nel 1940 che morì in guerra nel novembre 1942 nelle Isole del Canale della Manica con il grado postumo di generale.
Forse proprio per la sua condotta spietata (ricordiamo che il 20 luglio 1944 Hitler era sfuggito all’attentato e venivano premiati quelli che più fedelmente eseguivano i suoi ordini), Karl Christiani diventò colonnello il 1° settembre 1944. Ricevette numerose decorazioni, le ultime nel 1943 (1° settembre 1943 Croce al Merito di Guerra 2a Classe con Spade, 27 novembre 1943 Premio al Valore e al Merito per gli appartenenti ai Popoli Orientali, 2a Classe in Argento con Spade).
Christiani comandava il 303° reggimento della divisione adibita alla difesa costiera nel nostro territorio, la 162a “Turkmena”3. Tale denominazione deriva dal fatto che era stata costituita prevalentemente da prigionieri di guerra non russi provenienti dal Caucaso, dalla Crimea e dalle regioni circostanti: in genere erano turkmeni, azeri o ceceni di religione mussulmana che, nonostante il razzismo imperante, erano stati accolti nell’esercito grazie ad alcuni esponenti tedeschi simpatizzanti.
L’avanzata germanica in Russia forniva un’opportunità di vendicarsi per alcuni intellettuali turkmeni sfuggiti alle purghe staliniane e riparati in Europa e una possibilità per l’esercito tedesco di arruolare uomini sul fronte orientale. C’erano infatti politici e generali non obnubilati dell’ideologia razzista nazista i quali volevano promuovere una ribellione armata che, diffondendosi in tutta l’Asia centrale, avrebbe fatto crollare il regime bolscevico. Inoltre la mortalità nei lager era elevatissima e quindi non stupisce che molti prigionieri abbiano preso parte alla Wehrmacht sebbene spesso disprezzati per le loro fattezze fisiche: infatti venivano chiamati anche dalla popolazione italiana terrorizzata i «mongoli» (non era il tempo del politicamente corretto) per i loro tratti orientali.
La 162a divisione fu affidata al generale Oskar von Niedermayer (nato l’8 novembre 1885 a Freising e morto il 25 settembre 1948 a Vladimir, Unione Sovietica)4, particolare figura di dotto professore esperto di culture dell’Asia Centrale, non stimato però da Kesselring perchè troppo titubante nel prendere decisioni e troppo lento nel dare ordini, tanto che il 21 maggio 1944 fu sostituito dal generale Ralph von Heygendorff, nato il 15 agosto 1897 a Dresda. Quest’ultimo era stato assistente dell’addetto militare nell’ambasciata tedesca a Mosca, il generale Ernst-August Köstring, il quale, appassionato difensore dei turchi mussulmani, fu nominato ispettore delle associazioni popolari turche comandate dai tedeschi e divenne poi nel 1944 Generale delle truppe orientali e Generale delle associazioni di volontariato. Sarà poi von Heygendorff ad avallare la decisione di Christiani di giustiziare i Tre Martiri come esempio.
La divisione fu addestrata in Germania ma l’Alto Comando preferì non impegnarla in Russia e la destinò in Italia per la difesa costiera: divisa in tre reggimenti di fanteria, di cui uno era il famigerato 303° a Rimini, uno di artiglieria ed altri ancora di supporto, fu impegnata all’inizio in Liguria e poi sull’Adriatico nell’agosto 1944 fino a novembre. Kesselring aveva destinato queste truppe alla 10a armata tedesca che difendeva Rimini dagli Alleati ma i comandanti non si fidavano della loro efficienza bellica: le consideravano prepotenti nei confronti della popolazione e deboli nel combattimento, tanto che stigmatizzavano la tendenza ad arrendersi subito. Schierati tra le due migliori formazioni tedesche a difesa della Linea Gialla e quindi di Rimini, i turkmeni dovevano difendere il colle di Covignano, ma diedero una pessima prova nei combattimenti tanto da permettere che i Canadesi sfondassero proprio nel settore da loro tenuto e liberassero quindi la nostra città.
Il generale tedesco Heinrich Von Vietinghoff-Scheel li tolse dal fronte, li mandò nelle retrovie tra Liguria ed Emilia per la lotta antipartigiana, dove i soldati si macchiarono di vari crimini soprattutto nella zona del Pavese: almeno 15 morti sono state acclarate solo per il 303° reggimento mentre il totale delle uccisioni della divisione nella lotta antipartigiana ammonterebbe a 70 episodi accertati.
Di questi soldati sono rimaste note la ferocia e le violenze esercitate frequentemente nei confronti delle donne (ci sono testimonianze anche nel Riminese) e fu soprattutto nel Nord Italia che si verificarono gravissimi episodi. Un sacerdote, don Alessandro De Tommasi il 2 dicembre 1944 scrisse «Le gravi voci di violenza sulle donne da parte delle truppe germaniche, comprendenti uomini d’ogni nazionalità, vengono confermate da una circolare segreta inviata dall’autorità agli ospedali in cui si autorizzano gli aborti per far scomparire le prove della violenza»5. Come spesso succedeva e purtroppo succede ancora, prevalevano nelle donne sensi di vergogna piuttosto forti e si tendeva quindi a tenere tutto segreto. Non ne resta perciò traccia ufficiale salvo diari o testimonianze. La divisione turkmena ritornò sull’Adriatico, nelle valli di Comacchio, nel marzo 1945 fino al termine della guerra: gli ultimi reparti si arresero agli Inglesi a Padova e, pare, nel Trentino.
In base alle decisioni del congresso di Yalta, i prigionieri, con l’operazione Keelhaul, furono riconsegnati a Stalin il quale li condannò a 20 anni di lavori forzati inviandoli in Siberia e soprattutto nelle miniere allagate del Donbass dove ne morì la gran parte.
Non si hanno molte notizie di Christiani dopo il tragico episodio dei Tre Martiri: probabilmente fu fatto prigioniero dagli Inglesi nell’aprile 1945 a Padova; potrebbe essere stato liberato o essere fuggito e si può ipotizzare che sia tornato in America Latina ma non ci sono elementi per affermarlo con certezza. Non si conosce la data e il luogo della morte; era sicuramente vivo nel gennaio 1948 perché al processo di Norimberga contro il generale Ernst Dehner, si acquisì una testimonianza scritta di Christiani a difesa dell’imputato.
Non pare sia stato avviato alcun procedimento penale nei suoi confronti né in quelli di von Heygenderff, il quale morì il 10 dicembre 1953 nel suo letto a RemscheidLennep nella Germania Ovest.
CHRISTIANI E SAN MARINO
Il fondo di Ezio Balducci presso l’Archivio di Stato di San Marino testimonia il pericolo corso a causa del tentativo di Christiani di operare un rastrellamento all’interno della Repubblica alla fine dell’agosto 1944, quando si stimava che vi erano rifugiati oltre 70.000 profughi italiani.
«26.08.1944. Carta intestata: Segreteria degli Affari Esteri. Il Segretario di Stato Gustavo Babboni informa Balducci di aver ricevuto il giorno precedente il Colonnello Christiani, comandante della difesa costiera, accompagnato dal Segretario del Fascio di Rimini (Paolo Tacchi) che chiedevano “di mettere in esecuzione un’opera straordinaria di polizia su questo territorio”. Babboni ritiene che la domanda debba essere esaminata in base alla neutralità, agli accordi verbali presi con Rommel, e alla convenzione con l’Italia sulla consegna reciproca di individui perseguiti o condannati. Ricordando la nota dell’11 maggio inviata al Duce, il mittente ribadisce che a seguito dello sfollamento “si è riversata quassù una parte della situazione politica di quei paesi”, e nonostante gravi incidenti verificatisi oltre confine, “non si sono mai rinvenuti autori o complici in quei fatti che fossero sammarinesi o cittadini di altro Stato qui residenti”. 26.08.1944, San Marino.
Carta intestata: Segreteria Affari Esteri. Nota con cui il Segretario di Stato Gustavo Babboni informa Balducci che il Colonnello Christiani attende una risposta per lunedì (28 agosto), e di aver promesso a Tacchi una telefonata dello stesso Balducci quel medesimo giorno (Unità documentaria 290-b.2-fasc.2-sottofasc.2/H). 27.8.1944 Carta intestata: Segreteria Affari Esteri. Promemoria di Gustavo Babboni che annota di aver telefonato la domenica pomeriggio, come da accordi, a Paolo Tacchi, per informare il Colonnello Christiani che Balducci, a sua disposizione, si sarebbe recato a Rimini lunedì (28/08) (BE_REG-30-291-b.2-fasc.2-sottofasc.2/H).
29.08.1944. Il Segretario di Stato Gustavo Babboni informa il Generale Traugott Herr, comandante del LXXVI Corpo d’Armata Corazzato tedesco, che il Colonnello Christiani e Paolo Tacchi si sono presentati in Segreteria di Stato per chiedere di eseguire in Repubblica “provvedimenti straordinari di polizia”. Precisando che tale intervento lederebbe la neutralità, e non esistono motivi per attuarlo, Babboni ribadisce che esiste già una convenzione con l’Italia, e sebbene tra gli sfollati vi siano persone di diversi partiti politici “il Governo di San Marino non ha da lamentare difficoltà perché controlla il paese e ha a sua disposizione una forza sufficiente per una efficace opera di polizia”.
29.08.1944, San Marino. Carta intestata: Segreteria Affari Esteri. Il Segretario di Stato Gustavo Babboni, nella risposta al Colonnello Christiani, espone quanto scritto al Generale Traugott Herr nella stessa data (BE_REG-30-294-b.2-fasc.2-sottofasc.2/H).
Balducci nel dicembre 1945 riconoscerà anche il fattivo contributo del capo della provincia di Forlì Pietro Bologna (BE_REG-31-60-b.7-fasc.8).
Con una lettera da Pescara, il 28 settembre 1955 Tacchi rivendicò la sua attività per impedire che Christiani mettesse in atto la sua minaccia (BE_REG-41-200-b.26-fasc.settembre)
Balducci, secondo quanto egli stesso dichiarò, andò a Rimini per perorare l’annullamento del rastrellamento da Christiani, il quale, presente Tacchi, telefonò ai suoi superiori e alla fine disse che era tutto rinviato. E così, scrisse il capitano reggente Francesco Balsamelli, «tutti rimasero incolumi sotto l’egida dell’ospitalità fino al giorno della liberazione».
Note
1 Amedeo Montemaggi, 16 agosto 1944: Tre Martiri, CID, Linea Gotica, ANPI, Comune di Rimini, 1996,, pag. 43.
2 Riferimenti bibliografici: https:// fonnn.axishistory.com/ e le opere di Dermot Bradley, di Wolfgang Keilig e di Dieter Zinke
3 Per una più completa disanima della storia della 162a divisione turkmena si veda F. De Renzi, Arrivano i Mongoli. La 162 Divisione Fanteria “Turkomann ” in Italia (1943-1945), in «Il Secondo Risorgimento», n. 3, 2012.
4 Antihitleriano, fu perseguitato e nell’aprile del 1945 era richiuso a Torgau per essere processato ma fu liberato dall’arrivo degli Americani e dei Russi proprio in quella città. Sembra che preferisse andare con i Sovietici ma fu da costoro processato e mandato in un campo di prigionia dove morì.
5 C. Jampaglia e M. Portanova, Il fantasma dei mongoli, in «Diario del mese», 26 gennaio 2007, www. diario.it che contiene anche una testimonianza dello storico Angelo Del Boca, appartenente alla settima brigata partigiana di Giustizia e Libertà che affrontò la divisione.
Ariminum, agosto settembre ottobre 2024