I pionieri della valorizzazione della Valmarecchia negli anni Sessanta
Dal 1965 al 1967 i tentativi di promuovere l’interesse nella valle culminarono con un convegno e con una spedizione per accertare l’origine del fiume che sfocia a Rimini
Che la Valmarecchia sia una delle più belle vallate del nostro Paese è purtroppo noto ancora a troppo pochi. Che ancora meno conoscano i gioielli che lo scrigno della valle contiene, è altrettanto vero. E questo scrigno regala fra l’altro sempre nuove sorprese, come recentemente uno splendido affresco a Bascio.
C’è un tesoro che scorre lungo il fiume che sfocia a Rimini, ma non è una ricchezza dovuta allo sfruttamento di risorse (che pure non mancano: si pensi alle rocce, ai minerali e alle acque che in passato hanno fatto la fortuna dell’economia locale) ma ad un paesaggio incantevole che l’uomo con la sua storia e la sua opera ha saputo a volte valorizzare, a volte devastare.
Senza dimenticare chi ha rovinato per sempre luoghi straordinari (la mente conduce per esempio agli scomparsi “sassoni” di Ponte Santa Maria Maddalena, paesaggio quasi fiabesco irrimediabilmente deturpato) vi sono alcune personalità – uno per tutti Tonino Guerra – che, invece, hanno tentato di far comprendere quanta bellezza, unica nel suo genere, racchiuda questa meravigliosa valle.
Non sono molti anni che è sorta questa consapevolezza. Con l’eccezione di San Leo, San Marino, Verucchio e poche altre località, non si pensava che la singolarità della valle, con le sue straordinarie peculiarità potesse suscitare interesse.
Si era nel 1965 quando Amedeo Montemaggi, allora capopagina de «Il Resto del Carlino» di Rimini, in un viaggio lungo il Marecchia fino al suo corso iniziale, rimase folgorato dal fascino della vallata intuendone nello stesso tempo le potenzialità: l’esplosione del turismo nella zona balneare della Romagna avrebbe potuto raggiungere, portando benessere, una terra che scontava secoli di miseria e che si stava progressivamente spopolando.
Si presero contatti con Danilo Laurenti, il sindaco di Badia Tedalda, e con don Amedeo Potito, il parroco di Ca’ Raffaello, enclave toscana del Montefeltro, per scoprire e rendere noti i segreti di una valle affascinante ma ancora misteriosa per gli abitanti della costa.
Don Potito, su cui in futuro sarà interessante soffermarsi, era una straordinaria figura di erudito, erede di una tradizione secolare di religiosi appassionati studiosi: nato a Manfredonia, per motivi non del tutto chiari, era stato assegnato, durante la seconda guerra mondiale, nella sperduta parrocchia di Cicognaia, splendido luogo ma di fatto disabitato. Dotato di una non comune predisposizione alla ricerca archivistica, aveva nel corso degli anni approfondito la conoscenza della Valmarecchia e della sua storia attraverso l’esame minuzioso di documenti che cercava, con un’abilità certosina, nei vari depositi pubblici e religiosi, in particolare vaticani.
L’interesse era quindi comune per valorizzare la valle: per creare la necessaria attenzione Montemaggi, don Potito e il sindaco di Badia Tedalda organizzarono un grande convegno, pubblicizzato poi ampiamente da un inserto con inconsuete pagine a colori, sul principale quotidiano letto nella vallata «Il Resto del Carlino», il quale descriveva sommariamente la storia della valle, i motivi di interesse per il turista, anche da un punto di vista naturalistico ed enogastronomico.
La scelta di Badia Tedalda non era certo casuale: da una parte il vivo interesse dell’amministrazione comunale, dall’altra l’appartenenza di Don Potito alla diocesi di Arezzo, dall’altra ancora il fatto che il territorio fosse un feudo di un personaggio politico di prima grandezza, Amintore Fanfani, all’apice del suo potere nonché Ministro degli Esteri.
Il convegno si tenne il 3 giugno 1967 e vi parteciparono molti relatori: dopo l’apertura del sindaco proseguirono gli interventi dei direttori degli enti provinciali del turismo interessati (Mario Pari per Forlì, Arezzo e Pesaro) e del senatore riminese Gino Zannini, all’epoca segretario del Senato. Concluse i lavori l’allora ministro del Turismo Achille Corona, alla presenza di degli amministratori di 64 comuni
Si convenne che se la valle avesse voluto risollevarsi dalla evidente decadenza che le attività tradizionali stavano soffrendo, avrebbe dovuto necessariamente rivolgersi al nuovo oro rappresentato dal turismo sulla riviera. Con lungimiranza si vedeva anche nella conoscenza e nel rispetto dell’ambiente la chiave di volta di questa strategia: il mezzo poteva essere quindi una guida turistica riccamente illustrata, “Valmarecchia ritrovata”, che spiegasse ai turisti rivieraschi la bellezza dell’entroterra.
Perciò, per sfruttare il successo dell’evento, Montemaggi e don Potito giorno dopo giorno, per tutta l’estate del 1967, scattando migliaia di fotografie (che costituiscono tuttora una testimonianza di inestimabile valore), attraversarono tutta la valle in ogni suo più remoto pertugio, con l’autovettura condotta dalla moglie Edda e accompagnati dall’autore di queste note.
Venne concepita un’ulteriore idea mediatica: la “scoperta” delle sorgenti del Marecchia. Poco lontano infatti, in epoca fascista, era stato celebrato il luogo dove sorgeva il Tevere, “il fiume sacro ai destini di Roma”, divenuto meta di un consistente flusso di turisti.
In realtà dove nascesse esattamente il Marecchia non era ben chiaro: vicino a Pratieghi, frazione di Badia Tedalda c’erano vari torrenti e nessuno era identificato quale effettiva prima fonte del corso d’acqua, nemmeno dall’Istituto Geografico Militare, senza poi tener conto che spesso, in alcune carte geografiche approssimative, si sosteneva che fosse l’Alpe della Luna a dare i natali al fiume.
Con il vicesindaco di Badia Tedalda Ciavattini e l’assessore Tocci, il 23 agosto 1967 ci si recò a Pratieghi e si parlò con gli abitanti: alcuni ritenevano che l’origine fosse un rigagnolo che scendeva dal vicino Poggio dei Tre Vescovi, altri un fosso proveniente dal Monte della Zucca, o Monte Zucca, altri ancora un ramo che discendeva da una propaggine di un rilievo denominato Castagnolo. Si decise per quest’ultimo e si risalì allora il ruscello, tra declivi di calanchi ripidi e scoscesi, finché alle 11,35 si giunse dove si riunivano tre rivoletti, un luogo chiamato Forconaia; si redasse un atto in cui si dichiarava quel punto come sorgente del Marecchia.
Il 26 dicembre 1967 si ebbe occasione di incontrare Fanfani, all’epoca Ministro degli Esteri, giunto nella natia Pieve Santo Stefano, il quale manifestò il suo vivo interesse: vista la bozza della guida, si complimentò e condivise l’idea che il turismo poteva essere il futuro della valle. Apprezzò il testo redatto da Don Potito e promise una sua prefazione. Altri politici toscani, come il Presidente della Camera Brunetto Bucciarelli Ducci, visitarono i luoghi ed apprezzarono le idee espresse; lo stesso Fanfani, il 9 aprile 1968 tornando a Badia Tedalda (dove rimproverò il sindaco per non aver esposto il tricolore per la sua visita), si fermò al Passo di Viamaggio per il pranzo al ristorante da Siro (dove porse le pietanze a Edda con galanteria) e promise di interessare per la stampa della guida la “Fratelli Fabbri”, un editore all’epoca molto famoso per la pubblicazione di opere in dispense.
Sembrava quindi che si fosse ormai in vista della meta quando, improvvisamente, l’attenzione cessò, Fanfani si disamorò del progetto, probabilmente rivolto verso altri interessi, i vari enti si defilarono e tutto il piano di valorizzazione della valle cadde nell’oblio: si era persa un’occasione storica.
I motivi erano tanti: prima di tutto la divisione politica in tre regioni (Toscana, Marche ed Emila Romagna) e uno Stato indipendente, San Marino, entità che non dialogavano ed anzi, abituate a secolari dispute e attriti, guardavano con sospetto le iniziative altrui, soprattutto se provenienti da antichi rivali in un territorio fortemente campanilistico; inoltre Rimini non era nemmeno provincia e dipendeva da Forlì, assai meno interessata allo sviluppo di una valle che solo nella parte terminale, da Verucchio, apparteneva al suo territorio.
Inoltre la stampa della guida, relativamente ai mezzi di allora, era piuttosto costosa per il numero delle immagini necessarie ad illustrare la vallata e ciò non facilitava il reperimento dei fondi necessari senza l’aiuto di enti pubblici. La crisi del 1973, le chiusure domenicali, la scarsità di carburante, sembravano aver messo una pietra tombale sul progetto: per qualche anno quindi nessuno volle riprenderlo ed anzi la situazione si aggravò perché molti furfanti senza scrupoli saccheggiarono i tesori della Valmarecchia.
Questi primi pionieri lasciavano in eredità una corposa raccolta di informazioni storiche e di immagini di rara bellezza. Fortunatamente di ciò si accorse don Piergiorgio Terenzi, allora direttore del settimanale “Il Ponte”, il quale offerse a Montemaggi le pagine del periodico per pubblicare, almeno in parte, le notizie estratte dalla guida, redatta solo in bozza. Successivamente l’accoglienza favorevole dell’iniziativa indusse a stampare un opuscolo, “Conoscere la Valmarecchia”, che ebbe notevole successo tanto da essere ripubblicata, dieci anni dopo, in un’edizione più estesa, “Pianeta Valmarecchia”. L’opera, a distanza di oltre trent’anni, ispira ancora il fiorire di iniziative, come quella, di prossima pubblicazione e che attendiamo con interesse, di Massimo Gugnoni, dedicata proprio a questo territorio.
Ariminum, maggio giugno 2021