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Cinquant’anni fa i primi “Incontri internazionali”

Interessante, tra le prime proposte dell’organismo diretto da Gerardo Filiberto Dasi, una dibattito nel 1972 tra Ugo Spirito, Ernesto Balducci e Sergio Zavoli, sul tempo nel futuro dell’uomo

Incontri internazionali del Centro Pio Manzù, settembre 1972: da sinistra Silvio Ceccato, Ugo Spirito e Sergio Zavoli (© Biblioteca “Gambalunga” Rimini)

Gerardo Filiberto Dasi, nato nel 1924 e deceduto nel 2014, noto ai lettori di questa rivista perché collaboratore per lungo tempoi, rappresenta indubbiamente uno di quei personaggi che hanno creato la Rimini di successo nel secondo dopoguerra.

Tipica figura di chi ha molte idee pur partendo da una situazione estremamente localistica e con basi quasi inesistenti, Dasi costituisce il 13 aprile 1969 un Centro di Ricerche Internazionali poi intitolato al designer Pio Manzù che morirà il mese successivo; il Centro – di cui egli sarà sempre il “Segretario Generale” – giungerà ad ottenere lo status consultivo generale con l’Organizzazione delle Nazioni Unite e avrà tra i suoi rappresentanti esponenti di assoluto spicco: tra i tanti ricordo Luigi Preti, Giulio Andreotti e Mikhail Gorbaciov. Tuttavia, come spesso succede quando viene a mancare il vero motore propulsore, l’organizzazione non sopravvive alla morte del suo ispiratore, in sostanza un uomo solo al comando.

Non può essere certo questa la sede per una storia del Centro – sarebbe necessario che un’istituzione pubblica acquisisse il suo fondamentale archivio – ma certamente il suo “Segretario Generale” rappresenta un lampante esempio dell’intraprendenza, in campo culturale in questo caso, che si respira nell’aria della Rimini degli anni Sessanta.

A Dasi sta stretto il chiuso ambiente verucchiese, ma anche quello riminese: la sua visione è molto più ampia ma nello stesso tempo, lui che è ferrarese (giunge a Verucchio nel 1948), ama Rimini e il suo territorio fino a sentirsi “romagnolo fedele” e cerca, come altri nello stesso periodo, di portare la città al centro dell’universo mediatico. E ci riuscirà per qualche giorno all’anno, organizzando giornate di multiformi interessi che richiamano l’attenzione mondiale.

Non è facile per lui, privo di mezzi personali, trovare finanziatori per organizzare eventi fin da subito di respiro nazionale e diventati poi planetari: ma già dal 1970 esce la rivista “Strutture ambientali” che rimarrà una pietra miliare per documentare le attività svolte e soprattutto registrare le voci che si sono succedute nelle previsioni del domani di questo mondo.

Per i contemporanei il “Segretario Generale” è a volte anche troppo immaginifico, per usare un termine dannunziano: le sue intuizioni, a volte profetiche, sembrano eccessive e non sempre la città lo accoglie, fedele all’adagio di Luigi Tonini che il riminese è “basso estimatore de’ suoi”. Dasi poco se ne cura: crea un premio, la Medaglia d’oro del Presidente della Repubblica che, divenuto un ambito riconoscimento internazionale, sconfigge l’angusto provincialismo cittadino.

Quello però che si vuole sottolineare è che Dasi sembra dotato di preveggenza, è attirato dalle sfide del futuro e i temi che affronta sono uno sguardo in quello che verrà. In fondo, lui di formazione socialdemocratica, crede veramente in quel sol dell’avvenire, rappresentato nel vecchio simbolo del partito in cui nasce.

Per me che, ancora fanciullo, ho frequentato la sua casa a Verucchio, è un uomo convinto e deciso, soprattutto proiettato nel futuro: le opere di arte contemporanea, amatissima fin dal 1952ii, che riempiono la sua dimora e il Centro (sostanzialmente la stessa cosa), nonché il giardino fanno intendere che lì è l’avvenire; si rimane stupiti che in quella specie di cenobio un po’ defilato nell’entroterra, ci sia un universo parallelo dove si vive il domani e la modernità, quasi un angolo di fantascienza.

Dasi, spigoloso e difficile ma anche abile e spregiudicatoiii, è un ossimoro: da una parte è un visionario, sicuro però su quello che sta compiendo, con una fiducia illimitata nel progresso ma anche in se stesso e nella sua capacità di interpretare quel progresso; dall’altra è pragmatico, sa come ottenere e sa usare partiti e uomini finché servono, come faceva Enrico Mattei. Queste caratteristiche sono però necessarie per poter sopravvivere in un mondo in evoluzione frenetica e comprenderne le tendenze. E fino alla soglia dei novant’anni il “Segretario Generale” ci è riuscito.

Sono innumerevoli le iniziative promosse: ricordiamo che Dasi già dal 1963 a San Marino organizza una mostra con particolare attenzione verso le avanguardie, Oltre l’Informale, che l’anno successivo diventerà la Biennale di Venezia; poi, sempre negli anni Sessanta, anima la Fiera mercato nazionale del Libro con il Premio all’Editore e porta a Rimini i convegni internazionali di artisti, critici e studiosi di arte. Questi eventi e i personaggi che li popolano saranno poi i semi che porteranno alla fondazione del Centro nel 1969; iniziano poco dopo, nel 1971, gli Incontri internazionali che diventeranno ben presto le Giornate Internazionali di Studio.

Di queste, tra le prime, mi pare particolarmente importante ricordare una tavola rotonda organizzata nel settembre 1972 L’Uomo e l’uso del tempo. Nel suggerire l’argomento della discussione, già trattato l’anno precedente nel corso della 1ª Biennale internazionale di Rimini sul tema dell’ambiente umano Uomo, macchina, informazione, tempo libero, Dasi, cogliendo le incertezze e le inquietudini della società dell’epoca, propone l’incontro di personaggi di primo piano con l’obiettivo di affrontare la questione secondo vari aspetti.

La tavola rotonda è moderata da Sergio Zavoli, già noto e affermato giornalista che garantisce quindi la serietà del dibattito di un’organizzazione di formazione recentissima; si svolge nel settembre e, per nostra fortuna, gli atti vengono pubblicati in dicembre sul periodico edito dal Centro cosicché è possibile ora comprendere le concezioni, le riflessioni e le aspirazioni di esponenti di alto livello.

Sicuramente uno dei principali personaggi è il filosofo Ugo Spirito, illustre pensatore italiano che ha avuto una carriera di assoluto rilievo fin dall’epoca del fascismoiv.

Alla domanda di Zavoli se «si potrà avere un tempo libero se prima non avremo liberato l’uomo nel suo lavoro», Spirito risponde in modo sorprendente e controcorrente rispetto ai tempi più vicini ma profetici rispetto ai tempi attuali: «La soluzione verso la quale io mi avvio è quella della negazione del tempo libero, proprio per quella concezione a cui prima si accennava della spoliticizzazione e scientifizzazione della vita della nostra società. Non possiamo ormai più concepire il tempo libero come un tempo diverso da quello non libero». Preciserà in una successiva tavola rotonda nello stesso evento in cui è presente pure Padre Ernesto Balducci: «Eppure il concetto di tempo libero non direi che è del tutto chiaro nella coscienza comune. Cos’è questo tempo libero? Se c’è un tempo libero ce ne sarà anche uno non libero e che cos’è il tempo non libero? Non libero secondo me è il tempo controllato, sorvegliato, condizionato da una volontà che costringe il tempo a disporsi in un determinato modo; dunque c’è il tempo controllato e il tempo libero, ma nella società attuale cosa predomina? Il tempo controllato o quello libero? E fino a che punto il tempo libero si attua? Questo è il quesito di carattere fondamentale». Per Spirito la risposta è pessimistica per il futuro: «Noi viviamo in una società che divide l’uomo in due e non riesce a mettere insieme le due parti. Le ore di lavoro non possono essere che vita strumentale offerta dall’individuo al datore di lavoro per avere in cambio quel tanto che è necessario per costruire la vita privata, ma quella che veramente vale è quest’ultima».

Interessante è la replica di Ernesto Balducciv: «Siamo entrati in una rivoluzione nuova, quella cibernetica [ora diremmo informatica], nella quale la stessa società produttiva entra in panne, cioè scopre le proprie contraddizioni». Prosegue lo stesso Balducci: «La società produttiva deve dispensare l’uomo dal lavoro, il più possibile, sempre di più; le ore di lavoro devono diminuire, il lavoratore deve diventare anche un consumatore, deve partecipare largamente ai consumi, perché altrimenti il ciclo produttivo si arresta». E conclude: «Allora qual è il sentimento antropologico dominante? È la noia, la grande noia. La noia è veramente il sentimento del nostro tempo. Una noia che è il tempo vuoto. Il tempo vuoto, non gestito dall’uomo, ma gestito da altri. Questa è la noia dove si ritrova la profondità pascaliana e leopardiana, come sintomo dell’angoscia dell’uomo e della possibilità della ribellione dell’uomo. Noi siamo vicini a un tempo in cui lavorare vorrà dire toccare dei bottoni, in cui lavorare vorrà dire essere esenti dalla brutalità dello sforzo fisico. Ci avviciniamo a questo tempo. E allora noi dobbiamo preparare una società in cui questo potenziale produttivo non sia al servizio dello sfruttamento disumano, ma sia al servizio della libera potenza creativa dell’uomo, perché il tempo libero non è veramente libero se non rappresenta uno spazio di possibilità creative».

Queste parole, che intuivano le potenzialità dell’informatica ma anche le possibilità di asservimento a logiche di sfruttamento mediante procedure computerizzate (i moderni algoritmi?), ci inducono a riflettere su quanto il Centro Pio Manzù abbia agito per prefigurare l’andamento della nostra società.

i Manlio Masini ha ricordato in un editoriale in occasione della morte, l’amicizia con Dasi e la sua collaborazione alla rivista come critico e commentatore («Ariminum», novembre – dicembre 2014)

ii L’amore per l’arte contemporanea è emersa anche durante l’esposizione di opere della Pinacoteca di Verucchio donate dal 1952 al 1970 per opera di Dasi (A.Giovanardi, A Verucchio i sentieri della più alta cultura figurativa d’Europa, «Ariminum», luglio – agosto 2018)

iii Si veda per un ritratto Manlio Masini, Il “solitario” che gioca con i potenti della terra, «Ariminum», luglio agosto 1997

iv Nato ad Arezzo nel 1896, discepolo di Gentile (con cui si laureò nel 1920) Ugo Spirito aderì al fascismo firmando il Manifesto degli intellettuali fascisti nel 1925. A Ferrara, al 2° Convegno di studi sindacali e corporativi, nel 1932, Spirito sostenne la teoria della «corporazione proprietaria» con la quale intendeva sostituire la proprietà privata con le corporazioni fasciste. Il convegno ebbe, nel mondo culturale dell’epoca, una vastissima eco e Spirito divenne perciò uno dei maggiori teorici del corporativismo nonché esponente del cosiddetto “fascismo di sinistra”. Feroce critico della proprietà privata e della democrazia, Spirito vide dapprima con favore l’alleanza con la Germania, perché rivoluzionaria nella lotta verso il capitalismo. Nel dopoguerra, in nome degli stessi principi, abbracciò il comunismo; denunciando ogni forma di riformismo vedeva con favore l’esperienza cinese. Morì nel 1979.

v Padre Ernesto Balducci, nato a Santa Flora nel 1922, fu un noto religioso pacifista spesso in disaccordo con le gerarchie ecclesiastiche per le sue posizioni non sempre ortodosse. All’epoca della tavola rotonda stava tentando un dialogo con Il Partito Comunista Italiano. Originale pensatore, amico di Giorgio La Pira, dopo il Concilio Vaticano II restò comunque sempre legato alla Chiesa, beneficiando della benevolenza di Paolo VI. Morì nel 1992.

Ariminum, novembre dicembre 2021