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Il grande compito di aiutare profughi: alcune immagini documentano l’attività dell’ente benefico statunitense giunto a Rimini poco più di cent’anni fa per soccorrere donne e bambini Veneziani

Come in tutti i conflitti, anche nella prima guerra mondiale gli uomini partirono per il fronte e a casa restarono le donne con compiti immani: dovevano accudire i bambini e gli anziani e nello stesso tempo lavorare per la produzione bellica.

La rotta di Caporetto rese ancora più drammatiche le conseguenze sulla popolazione civile che in massa dovette allontanare dalle zone di guerra, e ancora le protagoniste furono le donne: come ha più volte ricordato Manlio Masini1, a Rimini giunse un numero considerevole di profughe veneziane, ospitate generosamente con i loro figli dalla città.


La curiosa didascalia della fotografia: “Questa è caratteristica dei profughi bambini Veneziani, la maggior parte orfani, i quali circondano il maggiore Aldrich”. Rimini, 15 maggio 1918 (Biblioteca del Congresso, Washington)

Grande supporto giunse dalla Croce Rossa Americana: proprio l’ente benefico fu particolarmente orgoglioso di questa operazione, tanto da pubblicare una storia della sua attività durante il conflitto corredata di alcune interessanti immagini2.

Profughi Veneziani ricevono scarpe e stivali dalla C.R.A. Rimini, 1918 (Biblioteca del Congresso, Washington)

Credo che sia superfluo ricordare che Ernst Hemingway fu loro autista in quel periodo e da ciò prese ispirazione per il celeberrimo romanzo Addio alle armi3. Difficilmente si può comprendere l’enormità della tragedia che colpì il territorio nordorientale italiano dopo la sconfitta di Caporetto: possono essere utili al riguardo proprio le parole da tale rapporto della Croce Rossa Americana. «Il problema immediato da affrontare era l’alimentazione e l’alloggio delle centinaia di migliaia di profughi provenienti dai distretti invasi. Poche nazioni nella storia moderna sono state chiamate ad affrontare un problema più grave di quello cui si è confrontata l’Italia: dalle due province più settentrionali la popolazione civile era giunta come una grande alluvione che ha straripato le strade e si è riversata sui campi verso sud. Le donne arrancavano con i bambini in braccio; chi era immobilizzato a letto veniva trasportato su carriole e su barelle. […] Le figlie venivano separate dalle madri; i bambini piccoli sono stati spazzati via dai loro genitori – alcuni di loro per essere uniti mesi dopo nelle case della Croce Rossa americana, altri per non essere mai più insieme. Donne che arrancavano a piedi nudi in camicia da notte; molte camminarono finché caddero, deboli per la fame. In mezzo a questo grande disastro militare e in gioco l’avvenire del Regno, l’Italia […] fu chiamata così a trasportare un esercito civile di mezzo milione o più di anime, per trovare loro nuove case, per nutrirle immediatamente e per fornire loro vestiti e cibo per i loro viaggi verso altre località già oppresse».


Donna Veneziana prova “Cloth-Tops” donatele dalla distribuzione di scarpe della C.R.A. Rimini, 1918 (Biblioteca del Congresso, Washington)
Distribuzione di scarpe a profughi Veneziani presso il centro della C.R.A. Rimini, 3 Maggio 1918 (Biblioteca del Congresso, Washington)

L’attività di soccorso così fu riepilogata: «Agenti della Croce Rossa Americana, viaggiando in automobile giorno e notte, visitarono più di duemila città e villaggi. Cercavano le famiglie indigenti o bisognose, famiglie prive di medicine o cibo o vestiti, e provvedevano immediatamente ai loro bisogni lasciando nelle mani di autorità debitamente costituite fondi sufficienti per far fronte all’emergenza locale». Interessante anche il commento sulla percezione che i profughi avevano dell’ente benefico: «Per gli italiani, il cui profondo amore per i propri figli è una caratteristica nazionale, la Croce Rossa Americana è diventata in un senso molto reale la grande madre. Molte migliaia di bambini i cui padri stavano combattendo per la libertà sono stati presi al riparo delle scuole, delle case e degli asili nido della Croce Rossa americana. Quasi tutti questi bambini soffrivano di denutrizione, la lenta fame che rende i giovani una facile preda delle malattie. Venivano riforniti di latte e cibo sano dall’America. Ad alcune delle ragazze più grandi veniva insegnato a cucire; ai ragazzi venivano insegnati i rudimenti della falegnameria e del calzolaio. Alle madri, i cui mariti o figli erano soldati, veniva offerta l’opportunità di integrare le loro magre pensioni lavorando in botteghe dove venivano confezionati indumenti di stoffa proveniente dall’America, e questi indumenti, insieme al contenuto delle grosse scatole che arrivavano in grandi quantità provenienti dagli Stati Uniti, servivano per vestire i figli dei soldati al fronte. Coloro che la guerra aveva privato dei loro mezzi naturali di sostentamento potevano rendersi autosufficienti con un lavoro».


Giovani donne al lavoro in un laboratorio della C.R.A. a Rimini (da H.P. Davison,
The American Red Cross in the Great War)

A queste sciagure si aggiunse un’altra piaga: «un’epidemia di influenza o “febbre spagnola” di grande gravità devastò l’intero regno, mietendo molte vittime. Nell’aiutare a controllare la diffusione di questa piaga, le infermiere americane della Croce Rossa e i nostri uomini hanno svolto un servizio eroico. Il latte era indispensabile per nutrire le vittime della malattia e per fortificare i bambini contro gli attacchi. Così mentre le infermiere visitavano le comunità colpite, facendo visite di casa in casa, i nostri uomini distribuivano grandi quantità di latte condensato ricevuto dall’America. In ogni modo possibile la nostra organizzazione ha collaborato con le autorità italiane nella lotta contro l’epidemia».

Il “Corriere Riminese”, periodico liberale che sosteneva sia la giunta del Sindaco Adauto Diotallevi sia il deputato del collegio di Rimini Gaetano Facchinetti Pulazzini, con grande evidenza pubblicò il 7 luglio 1918 il programma e gli attestati di riconoscenza del Comune verso la Croce Rossa Americana: «La festa nazionale del glorioso popolo degli Stati Uniti [4 luglio, Independence Day, principale ricorrenza statunitense] sarà festeggiata solennemente anche a Rimini». Nel numero successivo del 14 luglio, espose nei dettagli la cerimonia.

Il settimanale cattolico “L’Ausa” testimoniò l’apprezzamento della cittadinanza per l’opera dell’ente americano nel numero del 13 luglio 1918 con un articolo intitolato La grandiosa dimostrazione di Rimini in onore dell’America: «Imponente, grandiosa, straordinaria è stata la festa che domenica scorsa [7 luglio] Rimini à celebrato in onore del popolo americano. La città fin dal mattino era tutta imbandierata. Nel pomeriggio il Politeama presentava un colpo d’occhio stupendo. Festoni di fiori e di verzura erano intrecciati con bandiere. Ai lati del palcoscenico, pure adorno di bandiere erano i gonfaloni di Rimini e Venezia. […] Il vasto salone del teatro era gremito, come gremite erano le adiacenze e via Gambalunga». Tutte le principali autorità italiane, a cominciare dal prefetto di Forlì, erano presenti; ospiti d’onore i rappresentanti della Croce Rossa Americana Capitano Lothrop, Capitano Gill, Tenente Cook. Dopo un canto intonato dai bimbi di Venezia, i discorsi ufficiali che terminarono con il ringraziamento da parte del capitano Lothrop, il canto dell’inno nazionale e gli auguri agli eserciti per una rapida vittoria.

Il «Corriere Riminese» dedicò alla partenza della Croce Rossa da Rimini, avvenuta nel marzo 1919, nuovamente due numeri: il 23 marzo 1919 riportò la relazione della giunta comunale al Consiglio Comunale con un voto unanime per la proposta di conferimento della cittadinanza onoraria a Lothrop, nel frattempo divenuto maggiore cavaliere. L’onorificenza fu concessa nella seduta del 20 marzo, durante la quale si salutò anche la partenza degli ultimi profughi per Venezia.

Il 6 aprile 1919 si descrisse la grande cerimonia organizzata il 23 marzo al Politeama, durante la quale furono tenuti i discorsi delle autorità e di Lothrop, molto applaudito per l’eccezionale opera di assistenza prestata a favore di tutti.

Caterina Portalungo, una piccola profuga Veneziana al lavoro in una sala da cucito della C.R.A. Rimini, dicembre 1918 (Biblioteca del Congresso, Washington)

Le fotografie che ho reperito presso la Biblioteca del Congresso di Washington, riferite proprio al nostro territorio, sono un’importante testimonianza consegnataci dalla Croce Rossa Americana: rare immagini a Rimini non di feste e di potenti ma di assistenza alle classi sociali più umili e svantaggiate e di profughi, donne e bambini del popolo emarginati dalla storia ufficiale.

Il milione della Croce Rossa Americana

Si ebbe uno strascico polemico quando la Croce Rossa Americana lasciò la nostra città. «Germinal», il periodico dei socialisti, ringraziò l’attività dell’ente statunitense evidenziando che la Croce Rossa Americana non lasciò solo opere e discorsi ma anche tanto materiale medico e denaro a favore della cittadinanza. Tuttavia ricordò che il deputato di Rimini Gaetano Facchinetti, eletto da liberali e cattolici, nel marzo 1918 si era lamentato con Vittorio Emanuele Orlando per l’invio di profughi in una città colpita due anni prima dal terremoto: «Interrogo il Ministro dell’Interni per sapere in base a quali criteri di opportunità e di ordine pubblico sembri opportuno concentrare a Rimini ed in qualche Comune della costa adriatica un ingente numero sempre crescente di profughi veneziani, tra essi compresi chi per condotta o per abitudini maggiormente preoccupavano la Pubblica Sicurezza, a Rimini e nelle vicine località costiere». «Germinal» commentò che l’interrogazione, effettivamente poco caritatevole, ebbe l’approvazione incondizionata da parte della stampa locale, compreso «L’Ausa», anche se l’assessore delegato del Comune di Venezia scrisse contro le affermazioni di Facchinetti una lettera aperta di protesta all’«Avvenire d’Italia». Inoltre «Germinal» aggiunse che i beni lasciati erano stati poi accaparrati da profittatori: «La Croce Rossa Americana, nel lasciare la nostra città ha fatto distribuire a diversi Enti locali di Beneficenza, i generi alimentari che aveva nei suoi magazzini, nonché lingerie, i medicinali ecc., il tutto per l’ammontare complessivo di circa un milione [lire 1919 corrispondenti a circa 1milione e mezzo di euro attuali]. Ci uniamo incondizionatamente al plauso per questo nuovo atto generoso e munifico; ma vogliamo dire agli Enti beneficati che è loro imprescindibile dovere di rendere conto pubblicamente di tutto ciò che fu loro ceduto. E questa domanda la facciamo perché abbiamo notato che molti di questi generi sono stati oggetto di vendita sulla pubblica piazza e seguitano ancora a far bella mostra nelle vetrine di alcuni negozi». Che si fosse toccato un tasto dolente, lo rivela un trafiletto dello stesso periodico del 19 aprile 1919: «Dove è andato a finire il milione della Croce Rossa Americana? Di fronte ad una elargizione di tale importanza il pubblico non ha diritto di sapere come sia avvenuta questa distribuzione? Che uso ne hanno fatto gli Enti beneficati? il “Corriere [Riminese]” e “L’Ausa” perché sono muti su tale questione?».

Note:

  1. Si veda a questo proposito da ultimo «Ariminum», nov. dic. 2018: La lapide dei profughi veneti.
  2. H.P. Davison, The American Red Cross in the Great War, The Macmillan Company, New York
  3. Le parti che sono state qui tradotte e riportate sono tratte dal capitolo XVI, pp. 207-221.
  4. Sull’importanza delle autoambulanze la citata opera di Davison pone particolare attenzione: «Sezioni con ambulanze furono stabilite in posti avanzati vicino al fronte.
    Le ambulanze erano condotte da giovani volontari americani, molti dei quali avevano prestato servizio in Francia. Queste ambulanze hanno svolto un lavoro efficace nel trasporto delle feriti e
    dei molti malati dalla prima linea e nella loro distribuzione dagli ospedali da campo agli ospedali di base o l’evacuazione dagli ospedali di base verso le stazioni ferroviarie».

Ariminum, maggio, giugno, luglio 2023