Il grande Genovese si ispirò, all’inizio della sua carriera politica, ai fatti avvenuti a Rimini nel 1831
150 anni fa moriva Giuseppe Mazzini. Pur essendo ricordato come un padre della patria, associato a Vittorio Emanuele II, Cavour e Garibaldi, le modeste e sparute celebrazioni avvenute testimoniano un progressivo oblio di uno dei più straordinari personaggi della Storia d’Italia.
Ci si dimentica spesso che Mazzini fu uno dei primi a ispirare il Risorgimento e l’unificazione nazionale, da perseguire mediante la formazione di un carattere degli Italiani, fino a quel momento considerati abitanti di un’espressione geografica, un carattere che si doveva fondare sui «doveri dell’uomo», moderno messaggio per combattere l’ingiustizia e ogni discriminazione; lavorò incessantemente per modellare una coscienza di nazione e suscitare sentimenti che portassero alla creazione della nuova Italia, propugnando costantemente l’idea di Roma capitale quando tutti ne vedevano solo la sede del Papato.
C’è un legame forte tra Mazzini e Rimini, una città che aveva già visto Murat nel 1815 proclamare l’indipendenza italiana: la primissima espressione politica del ventiseienne avvocato genovese fu, per sua stessa ammissione, il commento un fatto d’armi avvenuto alle Celle il 25 marzo 1831. Una scaramuccia, a dir la verità, di interpretazione molto controversa (i caduti furono tra i sedici e i ventisei a seconda delle testimonianze), ma che divenne internazionalmente nota proprio per merito di Mazzini. Egli infatti scrisse esule a Marsiglia, in francese e quindi nella lingua all’epoca più diffusa, un notevole componimento a metà strada tra un saggio vero e proprio e un’operetta letteraria: Une nuit de Rimini en 1831.
Mazzini descrisse in termini molto drammatici i patrioti e la loro morte in battaglia, declamando una feroce invettiva contro la Francia e il suo re Luigi Filippo che non erano intervenuti ad aiutare gli insorti: «Era la notte del 26 [in realtà il 25] marzo, una notte bella, calma e serena; e la luna splendeva con la sua penombra sulla campagna riminese […] Un alito, una voce d’amore scorreva con l’aria; nel fremito delle foglie, nel mormorio dell’acqua che dolcemente gorgogliava, pareva una voce di speranza. Quella era notte fatta per rammentare Francesca, Dante, il Genio, l’amore di Dio, la libertà! […]. C’era [invece] uno spettacolo terribile: moschetti frantumati, sciabole i cui bordi erano diventati smussati a forza dei colpi, frammenti di spade – poi brandelli di carne, mani sparse per terra, teschi spaccati; qua e là cadaveri. C’era una bandiera tricolore. La luna splendeva lì, e avresti potuto leggere le due parole: “Indipendenza Italiana”.
Avanti, avanti! figli d’Italia! – è dato il segnale: si sente il grido – e si precipitano in battaglia come in una corsa d’onore […] Sei solo, abbandonato, tradito, venduto; e cosa faranno le tue giovani reclute, le tue guardie nazionali, le tue truppe inesperte, semi disarmate, senza munizioni, senza fucili, senza capi, si può fare? […] La Francia? Essa vi abbandonava, rinnegava le sue promesse»
Nella mente del Genovese già dal 1831 si stava già formando l’idea della Giovine Italia e dell’Italia che, «una, indipendente, libera, repubblicana» dovesse liberarsi senza attendere l’aiuto dello straniero: il fatto che commentava lo confermò nella concezione che maturava in lui e che divenne sempre più ferma nel tempo.
Per la verità un Mazzini più maturo disse: «non meritavano di essere serbate alcune pagine ch’io aveva scritte prima in francese col titolo la Notte di Rimini, maledizione alla Francia di Luigi Filippo che il National pubblicò mutilate». Ma era già il 1861, l’Italia si era appena unita grazie all’aiuto della Francia di Napoleone III. Come è noto Mazzini, chiamato l’Apostolo del Risorgimento ma perseguitato in quella nazione che per primo aveva voluto forgiare, morì il 10 marzo 1872 sotto il falso nome di George Brown a Pisa anziché nella natia Genova, respinto, su istigazione dei Gesuiti, dalla religiosissima sorella perché scomunicato: un commovente quadro di Silvestro Lega lo ritrae al capezzale, ospite della famiglia Rosselli i cui discendenti Carlo e Nello moriranno per mano fascista in Francia.
Complimenti per la sintesi è il chiaro riferimento a Rimini. Per dirla con Carducci: “quanto debito per l’avvenire”
Grazie Giulio