Nato a Solarolo nel 1884, fu schedato già nel 1912: una vita trascorsa tra persecuzioni, vessazioni e continua vigilanza sopportate sempre con la fede irriducibile nell’anarchia
Armando Borghi iniziò la sua famosa opera Mezzo secolo di anarchia partendo dalla descrizione della Romagna e di Castel Bolognese, suo paese natale. A pochi chilometri si trova Solarolo dove, un paio di anni dopo Borghi, nacque il 9 aprile 1884 Oberdan De Giovanni: il nome, in ossequio alle tradizioni “sovversive” romagnole – ricordiamo il Benito (Juarez) Amilcare (Cipriani) Andrea (Costa) Mussolini – doveva riprendere l’attentatore alla vita dell’imperatore Francesco Giuseppe giustiziato due anni prima ma anche, non richiamando un santo, marcare un vena di anticlericalismo. La sua famiglia, come quella di Borghi, era di tradizioni repubblicane e lo redarguiva per le tendenze troppo ribelli.
Terra di anarchia dunque, e il giovane Oberdan non deluse le aspettative: non si sa quando maturò le sue idee ma da un rapporto della Prefettura di Caserta alla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza del 29 maggio 1912 e 19 dicembre 19121 si evince che l’anarchico aveva prestato servizio in ferrovia dal 26 dicembre 1904 a Venezia; dal 4 febbraio 1909 al 2 agosto 1910 fu a Portogruaro e poi fino al 14 dicembre 1911 a Carnia da dove fu trasferito a Caserta contro la sua volontà; si era comunque distinto per un piglio “battagliero”.
La sua attività era diretta alla propaganda delle idee “sovversive” con spedizione di materiale come articoli sui giornali “Il Nuovo Secolo” di Venezia e “Agitazione”2 di Ancona con l’appellativo, a dir la verità scontato, di “Oberdan”. Su “Il libertario” di La Spezia il 1 febbraio 1912 veniva elogiato per la sua azione di propaganda, destando l’attenzione preoccupata della polizia politica che lo teneva sotto stretta sorveglianza.
Da un telegramma riservatissimo del Prefetto di Caserta del 25 novembre 1912, emerge che era temuto perché aveva «qualche ammiratore e neofita fervente»; inoltre si esercitava «assiduamente al bersaglio con una rivoltella di grosso calibro». I dirigenti della Ferrovia erano preoccupati anche perché ritenuto «capace di qualsiasi atto inconsulto e delittuoso pur di emergere tra i compagni di fede. Qui poi, dato il continuo passaggio delle LL.AA. i Principi Reali, egli rappresenta un incubo ed una preoccupazione permanente e giustificata». I tentativi di ottenere una fotografia non andarono a buon fine ma la prefettura di Caserta il 19 dicembre 1912 redasse un suo dettagliato profilo.
De Giovanni fu poi mandato a Sessa Aurunca il 10 ottobre 1914; di qui nuovo trasferimento a Campobasso il 14 aprile 1915 e successivamente a Foggia il 3 marzo 1917, segnalato alla questura per il controllo dato che si era subito avvicinato ai locali “sovversivi”. Sicuramente fu perseguitato dalla polizia per le sue idee: subì perquisizioni che risultarono sempre negative.
Risolutamente pacifista e contrario alla Prima Guerra Mondiale, si narra che una volta addirittura riuscì ad impedire la partenza di una tradotta militare per il fronte: impresa che richiama in qualche modo l’episodio ripreso da Guccini nella celeberrima canzone “La locomotiva”. Le Ferrovie dello Stato decisero allora di accogliere la sua domanda per tornare a Rimini: la richiesta di un nuovo trasferimento da parte della prefettura per la sua pericolosità, fu sconsigliata dall’ente perché si temeva la sua azione rivoluzionaria in altre sedi mentre qui poteva essere meglio sorvegliato.
Nel frattempo De Giovanni era diventato giornalista corrispondente del periodico anarchico “Umanità nova”, fondato da Errico Malatesta il 26 febbraio 1920 e quotidiano di grande successo, superiore in diffusione all’“Avanti!”: per questo motivo il 1° dicembre 1920 venne infatti perquisita la sua abitazione. Il 16 dicembre 1920 la questura di Milano comunicava che si prevedeva un’intensa agitazione anarchica, che si sarebbe manifestata nel gennaio febbraio 1921 in varie città d’Italia tra cui Rimini, e nella nostra città il fiduciario sarebbe stato proprio De Giovanni.
Il 26 marzo 1921 la prefettura di Forlì informava che De Giovanni aveva partecipato ad un comizio di protesta contro il fascismo e che il 2 marzo precedente ed era stato intercettato un suo telegramma a “Umanità nova” dove si comunicava che il detto comizio aveva avuto l’esito di costituire un blocco comune di anarchici, comunisti, socialisti e repubblicani con la volontà di contrapporre la violenza proletaria a violenza fascista e la costituzione di un comitato di agitazione. In effetti si erano costituiti gli Arditi del Popolo, comandati a Rimini da Ciro Musiani per combattere le squadre fasciste: erano composti prevalentemente da anarchici e comunisti tanto che in una perquisizione nel 1921 dell’abitazione proprio di Musiani vengono trovati gli elenchi degli anarchici tra cui vi è Oberdan3.
Quest’ultimo appare poi come relatore in un grandioso comizio a Rimini per il 1° maggio per celebrare l’Alleanza del Lavoro, composta dai lavoratori e dai sindacati socialisti, comunisti, repubblicani e anarchici per lottare contro la dilagante violenza fascista. Poco dopo la marcia su Roma, il 1 dicembre 1922 De Giovanni veniva licenziato dalla Ferrovie e il 5 febbraio 1923 era arrestato per sospetta complicità complotto contro i poteri dello Stato scoperto a Rimini; tuttavia l’11 dello stesso mese era scarcerato per mancanza di elementi a suo carico.
Sempre vigilato strettamente dalla polizia, la prefettura il 17 febbraio 1924 informava la Direzione Generale che Oberdan era sposato con Guazzini Teresa e aveva un figlio, il futuro medico Alberto (o meglio Acrate, cioè “senza governo” come aveva voluto iscriverlo all’anagrafe): «sebbene si dimostra alquanto mutato nelle sue idee per effetto della cambiate condizioni politiche conserva principi anarchici».
Il 30 novembre 1926 la prefettura di Forlì comunicava che De Giovanni, che risiedeva in Via Circonvallazione occidentale nº 22, percepiva una pensione di £. 3.850 annue e svolgeva l’attività di pescivendolo4: da questo momento si susseguirono i rapporti di polizia, tendenzialmente sempre uguali fino alla caduta del fascismo, da cui emergeva che era attentamente vigilato, continuava a professare idee anarchiche, non presentava segni di ravvedimento ma neanche dava luogo a rilievi. Il 14 giugno 1939 la Polizia trovò tra le carte di Errico Malatesta appunti e note su De Giovani e perciò stabilì il proseguimento del suo controllo continuo.
Oberdan era un anarchico “umanitario”, categoria tipica di riminesi a cui appartenevano anche tanti socialisti soprattutto gravitanti nel borgo San Giuliano: si trattava di persone che condannavano severamente le ingiustizie e le disuguaglianze, causate da un sistema considerato iniquo. Passati quindi i primi ardori giovanili e mutata la situazione politica con l’avvento del fascismo, come riportano le veline della Polizia, anche Oberdan conservò le proprie idee ma l’azione era ormai preclusa dal nuovo regime e perciò egli accettò le vessazioni periodiche a cui era sottoposto, quali ad esempio essere “ospitato” nelle locali prigioni, situate proprio di fronte a casa sua, in occasione delle feste che più potevano creare disturbo alla quiete pubblica.
Fortemente anticlericale non vietò mai alla moglie le pratiche religiose cui era devota, anzi vivendo sempre in piena armonia con lei. In realtà la vita era molto difficile: De Giovanni si arrabattava con tanti lavoretti (Giovanni Luisè ricorda che aveva un banchetto nell’attuale Piazza Tre Martiri dove scriveva e leggeva per gli analfabeti) la moglie Teresina si arrangiava come domestica. Ma entrambi erano convinti che l’istruzione fosse il modo migliore per sfuggire a quella situazione di povertà e disagio: perciò Oberdan coltivava interessi culturali molto all’avanguardia all’epoca, come l’amore verso l’arte contemporanea, tanto da formare una collezione di quadri notevoli; con tutti i sacrifici del caso, essi vollero che sia il figlio “Tino” sia la figlia Bianca studiassero e conseguissero la laurea, in medicina e chirurgia il primo, in lingue la seconda.
Negli anni della guerra De Giovanni fu sempre vigilato e considerato sempre un irriducibile anarchico ma dopo il 25 aprile 1945 poté iscriversi alla ricostituita FAI, Federazione Anarchica Italiana, nel gruppo “Luigi Galleani”5 a cui rimase sempre fedele fino alla morte avvenuta il 4 ottobre 1966.
Occorre considerare che l’anarchia, il socialismo e il comunismo, non così distanti nelle menti dei popolani o dei proletari tanto che spesso avveniva un “passaggio” da una formazione all’altra, fornivano l’ideale di una società dove non ci sarebbe stata la sopraffazione e lo sfruttamento dell’uomo da parte di un altro uomo. Al di là di principi solenni, tuttavia la politica, nella vita di tutti i giorni, si risolveva in discussioni, a volte anche accese, che si tenevano nei soliti locali di ritrovo, molto spesso osterie dove il vino poi condiva le parole più elevate con sarcasmi e facezie.
Tutti sognavano una società migliore ma l’importante era tenere alta l’Idea: la fede incrollabile nei propri principi si univa spesso ad una grande volontà di aiutare un amico quando era necessario. Borghi sosteneva: «Il romagnolo è (o era?) geloso nella politica, come il siciliano è geloso nell’amore. Se la donna lo tradisce, il romagnolo potrà prendere la cosa con calma. Ma per un “volta-gabbana” non c’è remissione. Rinnegare la propria fede politica, e, come si dice, “passare il Rubicone” (il Rubicone è presso Rimini), è il massimo dei delitti. Ogni borgo ricorda tragiche rappresaglie contro il “rinnegato”, e adora (o ai miei tempi adorava) l’uomo di fede. Ai miei tempi, il rinnegato non era più pugnalato, ma rimaneva un lebbroso morale». E a Rimini l’uomo di fede adorato era Amilcare Cipriani, l’indomabile anarchico, socialista, repubblicano.
De Giovanni divenne quello che Matteini ritrae: «temperamento espansivo, amava la compagnia dei giovani [tra cui un adolescente di nome Amedeo Montemaggi che veniva accolto sempre con gioia in casa e che lo elesse a suo padre spirituale dopo la morte del proprio genitore]. Aveva un grande rispetto per tutti, anche per gli avversari ideologici, purché leali e coerenti»6.
Note
1. Tutti i documenti della Polizia e delle Prefetture citati si trovano all’Archivio Centrale dello Stato, Casellario Politico Centrale, busta 1659.
2. Armando Borghi delineò la grande importanza di questo giornale per la diffusione dei principi anarchici professati da Errico Malatesta: «L’“Agitazione” in Italia veniva in buon punto. Malatesta affrontò una polemica, che fece epoca, dando molto filo da torcere ai marxisti. Questi affidavano non alla volontà umana, ma alla fatalità storica il trionfo del socialismo, come il levarsi del sole e il gracidar dei ranocchi risponde a una legge della natura. Malatesta ci riportò sul terreno ideologico della Prima Internazionale; affermò la funzione della volontà umana nella storia; ci dette il contravveleno per la infatuazione legalitaria elezionistica che si diffondeva nei partiti socialisti sotto l’influenza della social-democrazia tedesca, allora in pieno sviluppo. […] Malatesta era maturo per un dibattito di alto livello intellettuale e di serenità. Noi giovani traemmo profitto grande ed esempio da quella discussione. L’“Agitazione” dette i ritocchi definitivi alla mia prima formazione » (A. Borghi, Mezzo secolo di anarchia, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1954, p.35)
3. G. Giovagnoli, Storia del partito comunista nel riminese, 1921/1940, Maggioli, Santarcangelo, 1981, p. 168.
4. La stessa attività di un altro famosissimo anarchico “Bart” Vanzetti che pronunciò le note parole «Sto soffrendo perché sono un anarchico, e davvero io sono un anarchico» e che l’anno successivo fu giustiziato sulla sedia elettrica.
5. Luigi Galleani (1861 – 1931), esule in vari paesi, approdò all’inizio del ’900 negli Stati Uniti diffodendo i principi anarchici che influenzarono Sacco e Vanzetti. Fu espulso e rispedito in Italia dove venne perseguitato dal fascismo.
6. N. Matteini, Rimini negli ultimi due secoli, Maggioli, Santarcangelo, 1977, p. 639.
Ariminum, marzo aprile 2023