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Sigismondo Malatesta, così sensibile alla fama e alla propaganda, vide nell’opera di Roberto Valturio un formidabile veicolo di promozione della propria immagine

Omnium scientiarum doctor et monarcha, “dottore e sovrano di tutte le scienze”: così definì iperbolicamente Roberto Valturio il suo primo biografo moderno, Aldo Francesco Massèra1 (di cui sono debitore per queste note), il quale a sua volta aveva ripreso la citazione da un oscuro notaio nel 1463.

Valturio era nato nel 1405 in una famiglia di intellettuali: durante il secolo XV i de Valturibus o Valturribus, provenienti dalla località vicino a Macerata Feltria ora chiamata Valtorre2 e stabilitisi alla fine del ‘300 a Rimini vicino alla Piazza Tre Martiri, avevano contato due lettori allo Studio bolognese (Fattuale Università), tre abbreviatoli o scrittori apostolici, un cancelliere ed un consigliere del signore della città ma soprattutto un dottissimo autore di un’opera fondamentale dell’epoca, il De re militari.

Roberto, terzo figlio di ser Abramo chiamato però Cicco, notaio e pubblico insegnante, nacque quando già il primogenito era diventato notaio e lavorava presso la curia romana; si distinse ben presto per la propria cultura: già nel 1427, come Roberto da Rimini, leggeva poesia e retorica presso lo Studio di Bologna, probabilmente eletto dagli stessi studenti come usava anticamente.

Valturio restò nella città felsinea per dieci anni divenendo doctor artium, per andare poi a Roma presso la curia papale, dove assunse il ruolo di abbreviatore.

Tornò a Rimini nel 1446 e si sposò con una dama riminese vedova, Diana del fu Rainirolo Lazzari, famiglia altolocata molto vicina ai Malatesti, e diventò subito consigliere di Sigismondo, carica che mantenne per trent’anni anche con il figlio Roberto.

Il suo ruolo era cruciale: la signoria malatestiana, formalmente un vicariato, dipendeva dalla benevolenza papale e il pontificato dal 1447 al 1455 fu retto da Niccolò V, letterato umanista e liberale: se in questi anni Sigismondo godette del favore di Roma fu senza dubbio grazie alle conoscenze del Valturio nella curia.

Egli acquisì una sempre maggiore influenza sulle scelte del signore di Rimini e il suo parere fu ascoltato anche nelle decisioni più importanti, tra cui vi sarebbe stata quella di non restituire le paghe riscosse da Alfonso di Napoli, atto che fu causa dell’odio implacabile dell’aragonese, almeno secondo la testimonianza del Clementini, come è noto però non sempre attendibile.

Nel corso degli anni Valturio divenne sostanzialmente anche il consulente culturale dei Malatesti e la sua autorevolezza fu tale da essere addirittura denominato amplissimus civis reique publice [sic] ariminensis pater, grandissimo cittadino e padre della comunità riminese.

Ciò che più di ogni altra occupazione lo rese di fama immortale fu l’attività letteraria e in particolare il trattato De re militari che gli assicurò larga risonanza tra i contemporanei.

Si tratta di un’opera assai composita, redatta probabilmente tra il 1446 e il 1455 e dedicata a Sigismondo con alte lodi: nei primi libri, dopo aver anticipato repliche ad eventuali critiche, affronta il tema delle caratteristiche che un comandante deve possedere: in sostanza la conoscenza di tutte le arti e le scienze importanti per l’epoca, il trivio e il quadrivio insomma, ed anche un po’ di astrologia nel caso in cui possa servire per prevedere il futuro; a ciò si devono aggiungere le virtù del perfetto imperator, prudenza, fortezza, giustizia e temperanza.

Nei libri successivi si esaminano le caratteristiche dell’esercito romano e, attualizzando l’argomento ai tempi suoi, ciò che si deve predisporre per conseguire la vittoria. Seguono un lessico militare e la trattazione della guerra navale mentre il XII e ultimo libro si sofferma su trofei, trionfi e ludi in onore del vincitore.

Come giustamente notava Massèra, nel campo della scienza della guerra l’opera è l’apoteosi della cultura umanistica, nel senso del recupero della tradizione classica e di un sostanziale rifiuto di quella medievale. Per Valturio, che non era un ingegnere militare ma un filologo, esiste solo la latinità e quindi l’impero romano: gli esempi e le tecniche descritte sono sempre esclusivamente tratte dall’esperienza di almeno mille anni prima mentre le citazioni di eroi medievali si limitano ad alcuni accenni ad Artù e a Carlo Magno. Roberto non ignora ritrovati moderni come le bombarde, di cui era ottimo conoscitore Sigismondo, ma ne parla solo marginalmente, sembrando quasi nascondere la loro importanza: su questa autentica rivoluzione dell’arte militare l’impressione è che, come Pietro l’Aretino, il riminese si voglia scusare dicendo “non la conosco” e si affidi invece ai disegni, peraltro non suoi.

In sostanza si è in presenza di un’opera ben strutturata, scritta in un ottimo latino, ma secondo il giudizio di Massèra “diligentissima e ricchissima enciclopedia di notizie militari degli antichi”.

Ciò non impedì tuttavia una grandissima fortuna al trattato: dotato di un apparato iconografico dì prim’or- dine, era il fiore all’occhiello della corte di Sigismondo. D signore di Rimini, così sensibile anche alla fama e alla propaganda, vide nell’opera del Valturio un formidabile veicolo di promozione della propria immagine tanto da tenere un amanuense tedesco al suo soldo: donò copie ai più grandi potenti dell’epoca, tra cui il sultano Maometto II. A testimonianza della grande risonanza raggiunta dal trattato, ne ebbero copie Luigi XI re di Francia, Mattia Corvino re di Ungheria, Lorenzo il Magnifico, Federico da Montefeltro e Malatesta Novello.

I giudizi dei contemporanei erano entusiastici e quando Venezia si impossessò della copia destinata a Maometto II, il Consiglio dei Dieci volle esaminarla e ne scrisse come res mirabilis ma dovette cederla malvolentieri al papa Pio II che ne aveva fatto pressante richiesta per averla.

Ma forse ancora più importante appare l’influenza che ebbe su uno dei più grandi geni italiani, Leonardo da Vinci. Massèra ha infatti dimostrato che il frate Luca Pacioli, il fondatore della moderna contabilità, lodò con altissime espressioni il trattato del Valturio su suggerimento dell’amico Leonardo, con lui alla corte di Ludovico il Moro a Milano tra il 1496 e il 1499: «E’ infatti indiscutibile che numerosi passi dei manoscritti vinciani non sono che appunti tratti dal De re militari, il quale costituisce una «fonte importantissima» per la conoscenza del sapere di Leonardo»3.

Terminata la composizione del trattato Valturio iniziò a scrivere la biografia di Sigismondo, che tuttavia non portò a termine e che anzi fu perduta.

Degna di essere ricordata è anche la lettera che Roberto scrisse al sultano turco Maometto II: in latino elegante essa accompagnava una copia del De re militari che sarebbe dovuta essere consegnata da Matteo Pasti a Costantinopoli, in seguito ad una esplicita richiesta del sultano stesso di avere uno dei migliori artisti della corte di Sigismondo.

La morte colse Valturio nel 1475; nel suo testamento egli lasciò la volontà di devolvere tutti i suoi libri al convento di san Francesco insieme alla disposizione di creare una nuova libreria al piano superiore del convento. Il Massèra, che scrisse prima della distruzione bellica dell’edificio, ci riporta il fatto che vi era una lapide anche se il locale era stato trasformato e la biblioteca sparita: secondo il Clementini, c’erano almeno trecento manoscritti oltre a molti incunaboli ancora all’inizio del seicento ma nel 1650 alla Gambalunghiana passarono soltanto alcuni codici, tra cui però uno particolarmente importante: il manoscritto autografo della Hesperis di Basinio Parmense.

Non si può non convenire con Flavio Biondo che Ariminum nunc habet Robertum Valturrem bonarum artium studiis ornatum: ora Rimini si gloria di Roberto Valturio, studioso appassionato di belle arti.

Note

1             Aldo Francesco Massèra scrisse la prima biografia moderna di Roberto Valturio, pubblicata a partire dal 1925 sull’annuario di quell’istituto che portava il nome dell’illustre autore, nome che probabilmente lo stesso Massèra aveva contribuito ad assegnare. Della vita di Valturio fino al Novecento si occuparono in pochi: Battaglini e Luigi Tonini che di fatto riprese le notizie del primo. Sono da segnalare anche i successivi contributi di Augusto Campana, Francesco V. Lombardi, Oreste Delucca e Antonio Montanari, nonché la pregevole pubblicazione Roberto Valturio, De re militari, Rimini, Guaraldi 2006 con i saggi critici a cura di Paola Del Bianco.

2             F.V. Lombardi ha dimostrato che la famiglia proveniva da ‘‘Vallis Turris”, con una chiesa chiamata San Cristoforo de’ Valturi, nel territorio della pieve di San Cassiano in Pitino, la pieve di Macerata Felina.3             A.F. Massèra, Annuario del R. Istituto tecnico “R. Valturio0, Rimini, IV (1926-27).

Da SIGISMONDO PONDOLFO MALATESTA, Signore di Rimini, Autori Vari, a cura di Manlio Masini, Panozzo Editore, Rimini, 2017, pagg. 49-51