Non sempre le visioni sono angeliche. Forse suggestionato da Gerione, “che tutto ’l mondo appuzza” (non è l’anno di Dante questo?), mi è infatti apparsa l’immagine di una belva che a Rimini, dopo aver massacrato il territorio e divorato i suoi figli, demolendo ciò che era stato costruito in passato, innalzava
edifici sempre più grandi e più alti.
Non appagata, si rivolgeva al fiume Marecchia: stendeva sul suo corso una superstrada a quattro corsie per deturpare irrimediabilmente una delle belle vallate del Paese, un paesaggio già rovinato dalla distruzione dei massi di Ponte Santa Maria Maddalena, solo per abbreviare di quindici minuti il percorso degli automobilisti.
Si è rivolta poi alla ferrovia, aspirando a chiudere le storiche Officine per edificare tante palazzine “di pregio”.
La belva, che pure appariva accattivante per gli ingenui (“la faccia sua era faccia d’uom giusto, tanto benigna avea di fuor la pelle”), non era ancora contenta, nemmeno il mare la limitava: una cinquantina di immense colonne a forma di elica, più alte del grattacielo, potevano finalmente circondare la spiaggia della città, il cuore dell’economia riminese, per realizzare il più brutto panorama del mondo.
Solo verso il cielo si è dovuta fermare: ormai gli aerei se n’erano andati a Forlì.
Mi sono svegliato, per fortuna era un incubo.
O no?
Ariminum, gennaio febbraio 2021