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Devo confessare che mi preoccupa la diffusione della cosiddetta cancel culture, intesa come la cancellazione dei segni del passato: dall’università di Stanford si è arrivati a proporre di abbandonare lo studio della storia antica greca e romana, quasi ci si debba vergognarsi di essa. Eppure i fondatori degli Stati Uniti si sono chiaramente ispirati alla repubblica romana e solo per fare un esempio, il Senato a Washington deriva il suo nome dal supremo consesso di Roma!

In realtà, questa iconoclastia, che assomiglia sinistramente alla damnatio memoriae (ma queste parole, visto che sono latine, andranno cancellate?) usata spesso dai dittatori, mi ricorda pericolosamente
il romanzo di George Orwell 1984, in cui il Partito proclamava lo slogan «Chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato» e perciò i trascorsi scomodi venivano eliminati nei cosiddetti “buchi della memoria”.

La domanda che mi sono posto è: come può uno storico contribuire a cancellare il passato quando il suo principale compito è, al contrario, di riportarlo alla luce, con obiettività e senza tacere nulla ma anzi fornendo elementi per una migliore conoscenza?

Nelle mie visioni mi è parso che l’antidoto a tali sciocchezze, pur se provenienti da alti consessi, sia proprio lo studio della storia, qualunque essa sia, naturalmente contestualizzandola.

Ariminum, maggio giugno 2021